Al Prof. Luigi Maria Lombardi Satriani il Premio Internazionale Giuseppe Cocchiara

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Giunto alla terza edizione il Premio Cocchiara è un momento importante per la Federazione che sancisce l’impegno per conservare e valorizzare i beni culturali etnografici.

Nello sviluppo delle diverse forme viventi, così come nella storia evolutiva di ciascun individuo e dell’umanità, è possibile individuare parentesi particolarmente rilevanti e significative.

Si tratta di azioni o di eventi, di episodi o di fasi che vanno ad incidere nel vissuto profondo, andandosi ad incuneare nella storia, nel suo tenace fluire, scardinandone logiche e presupposti.

A dispetto della forza di resistenza del tempo ciclico, il quale, prigioniero di strutture di lunga durata, seguita nel suo inesorabile scorrere senza che nulli cambi, è proprio la memoria profonda a poter testimoniare ed evidenziare la possibilità del mutamento, determinata da quelle parentesi capaci di imprimere una particolare direzione alla ruota del tempo, finanche di indicare una chiara direzione verso il futuro.

Nelle meritorie attività di recupero e di valorizzazione nate in Italia, già negli anni Settanta, un po’ ovunque in relazione al ricco e variegato patrimonio delle tradizioni popolari, la decisione di fondare un’associazione culturale nazionale, oggi denominata Federazione Italiana Tradizioni Popolari (FITP), costituisce certamente uno spartiacque degno della massima considerazione che ha fortemente inciso negli assetti più generali e profondi della conservazione delle identità culturali regionali e comunitarie.

L’idea di collocare le attività di ricerca e di recupero del patrimonio folklorico, nel quadro delle coordinate teorico-metodologiche tracciate dai saperi antropologici accademici, così come propugnato tenacemente dalla FITP, ha consentito certamente che, alla spontaneità tipica di un volontariato responsabile, venisse ad unirsi un sapere scientifico che fa della ricerca dei cosiddetti “usi” e “costumi” locali, nelle loro diverse articolazioni, un plusvalore di inestimabile rilevanza.

La FITP, sorta, dunque, con il chiaro compito di promuovere e coordinare le diverse realtà culturali presenti in questo campo, ambisce sempre più ad assumere un ruolo di garante qualitativo dei contenuti messi in “scena” dai diversi sodalizi. Mediante l’organizzazione di stage formativi, di laboratori di verifica, di tavole rotonde e convegni di approfondimento, l’organizzazione di festival, corsi e concorsi, la pubblicazione di riviste e finanche di monografie di alto contenuto specialistico, la FITP sta sempre più puntando, alla luce delle sollecitazioni della Consulta scientifica, ad innalzare l’asticella della qualità, con la conseguente messa al bando del pressapochismo.

I numerosi gruppi affiliati alla FITP, ciascuno forte del proprio bagaglio di saperi e di competenze maturati in anni di diligente attività di studio, convinti del valore insostituibile della ricerca scientifica condotta secondo precisi criteri metodologici, sono sempre più persuasi della rilevanza del vincolo che deve unire le performance di oggi ai patrimoni culturali di ieri.

Ed è proprio nel quadro di una serie di complesse iniziative di qualificato sostegno al folklore d’Italia, di cui la FITP si è resa protagonista, che si colloca il Premio Giuseppe Cocchiara, nel cui regolamento istitutivo, all’art. 1, si legge: «Per gratificare e valorizzare tutti gli studiosi italiani e stranieri che, con le loro ricerche teoriche, metodologiche e sul campo, conducono indagini nei diversi ambiti delle discipline demo-etno-antropologiche nei differenti contesti e realtà socio-culturali, la Federazione Italiana Tradizioni Popolari, in collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Mistretta, istituisce il Premio Internazionale Giuseppe Cocchiara per gli Studi Demo-Etno-Antropologici per ricordarne il ruolo di fondatore in Italia dell’Antropologia Sociale».

Giunto alla sua terza edizione, con questo Premio la FITP ha voluto simbolicamente mettere in evidenza il valore irrinunciabile che la ricerca storico-antropologica assume per l’operato dei gruppi aderenti.

Giuseppe Cocchiara, nato a Mistretta nel 1904, è considerato nello svolgimento della storia delle discipline antropologiche, una figura chiave, resasi capace di innestare su una rilevante tradizione di studi che aveva avuto nel medico palermitano Giuseppe Pitrè un antesignano di rilevanza internazionale, spunti di fervida innovazione. Formatosi prima in Italia e poi in Inghilterra, a Giuseppe Cocchiara viene unanimemente riconosciuto di essersi saputo occupare con rigore e sistematicità di molteplici repertori della cultura popolare, dando ad essi una organizzazione sistematica con la pubblicazione di uno dei primi manuali che la disciplina abbia avuto, apparso per le edizioni Hoepli nel 1928. Vincitore nel 1949, con Paolo Toschi e Caterina Naselli, del primo concorso a cattedra di Storia delle tradizioni popolari bandito dall’ateneo palermitano, Cocchiara fa parte di una generazione di uomini di estesa cultura storico-umanistica che seppe trasformare interessi estemporanei nei confronti della cultura popolare in un importante, solido e finalmente riconosciuto settore di studio.

Nella pluridecennale storia della FITP, coronata da tante iniziative di grande successo, certamente l’istituzione del Premio Cocchiara, inoltre voluta dall’Amministrazione Comunale di Mistretta, segna, pertanto, una svolta importante, così come una svolta decisiva fu quella inferta dallo stesso Cocchiara alla disciplina, con studi che hanno inciso profondamente sull’assetto complessivo della disciplina, specie quelli di natura storiografica, tradotti finanche all’estero.

Ed è proprio all’insegna di tale criterio, riconducibile alla definizione di figure e di momenti storici di particolare rilevanza, che la qualificata giuria del Premio Cocchiara (composta da affermati docenti delle Università di Messina, Catania e Palermo, oltre che dal Presidente della Consulta della FITP e da un rappresentante del Comune di Mistretta) ha inteso procedere nella definizione dei vincitori.

Quindi, dopo Antonino Buttitta (2014) e Nestor Garcia Canclini (2015), insigniti rispettivamente di tale prestigioso premio nella prima e nella seconda edizione, nel 2016 è stata la volta del prof. Luigi Maria Lombardi Satriani.

Si tratta, come è noto, di studiosi di primissimo piano, di figure di rilevo internazionale distintesi per aver saputo concorrere, in momenti e in luoghi diversi, al rinnovamento della ricerca antropologica.

La carriera scientifica di Luigi Maria Lombardi Satriani, assai ampia e densa di rilevanti contributi teorico-metodologici, è stata accuratamente ricostruita nei suoi tratti essenziali dalla Commissione Giudicatrice del Premio con le seguenti motivazioni: «Luigi Maria Lombardi Satriani è nato il 20 dicembre 1936 a S. Costantino di Briatico (Calabria), laureato in Scienze Politiche ha poi conseguito la libera docenza in discipline etno-antropologiche.

Ha iniziato la carriera universitaria presso l’Università di Messina; ha quindi continuato presso l’università di Napoli Federico II, l’Università della Calabria dove è stato preside nella Facoltà di Lettere e Filosofia e prorettore per le attività culturali.

È stato ordinario di Etnologia nell’Università La Sapienza di Roma e Presidente dell’Associazione Italiana per le Scienze Etnoantropologiche. Ha tenuto seminari, conferenze e relazioni in numerose università italiane e straniere.

Nel 2004 ha fondato la rivista Voci, di cui è tuttora direttore, alla quale collaborano diversi antropologi noti a livello internazionale. Nel 1996 è stato eletto senatore della Repubblica.

A metà degli anni ’60 del secolo scorso, Luigi Lombardi Satriani ha suscitato un intenso dibattito tra gli intellettuali italiani interessati agli studi demo-etno-antropologici; alcuni di essi erano ancora in gran parte coinvolti da residui teorico-metodologici dello storicismo crociano.

In diversi casi, la patina storicistica era temperata dalle osservazioni sul folklore e sulla Questione meridionale di Antonio Gramsci e dai rilievi storico-economici dell’opera di Emilio Sereni Il capitalismo nelle campagne; inoltre, gli etno-antropologi degli anni ’40, ’50 e ’60 del ‘900 ricevevano stimoli dalle denunce sociali di Carlo Levi, Rocco Scotellaro e Danilo Dolci.

In quel medesimo periodo, altri studiosi, in forme e impegni differenti, rivolgevano le loro attenzioni a realtà culturali extraeuropee, oppure si interessavano alle istanze teorico-metodologiche proposte dal formalismo proppiano e dallo strutturalismo levistraussiano, tentando, con l’applicazione delle categorie marxiane, di trovare le costanti socio-economico-culturali nei dislivelli tra la cultura egemone e le culture subalterne.

Infine, alcuni giovani antropologi, tra i quali Lombardi Satriani, stimolati dalla corrente francese levistraussiana di sinistra, affrontavano i presupposti teorici delle «forme precedenti la produzione capitalistica» contenuti nei manoscritti marxiani Lineamenti fondamentali dell’economia politica (Grundrisse der politischen Ockonomie, Mosca, 1939, Berlino, 1953).

Con la pubblicazione nel 1966 del saggio Folklore come cultura di contestazione (Peloritana, Messina), nel 1968 dell’articolo Analisi marxista e folklore («Critica marxista», VI, 6, novembre-dicembre, pp. 64-88) e nel 1973 del volume Folklore e profitto (Giuda, Napoli), in una situazione generale in cui cominciavano ad emergere i sussulti politici della contestazione giovanile, Luigi Lombardi Satriani ha avuto la capacità di inquadrare la cultura popolare, non tanto come un residuo arcaico, ovvero come un amalgama frenante il raggiungimento della «coscienza di classe» - così come fino ad allora era stato considerato il folklore dai quadri ufficiali della sinistra italiana -, quanto piuttosto come un fattore fortemente rivoluzionario che le classi popolari, in particolare quelle contadine, avevano sempre adottato per opporsi al potere padronale; canti satirici, in particolare, e forme festive di contestazione, come i carnevali, per Lombardi Satriani, sarebbero i fenomeni più evidenti della contestazione sociale e politica dei ceti popolari.

In sostanza, la nozione di Satriani di «folklore come cultura contestativa delle classi subalterne rispetto alla cultura egemone della classe dominante» si innesta nel quadro dell’eredità meridionalistica demartiniana soprattutto quando analizza le forme di religiosità popolare associate a momenti festivi; in pratica, il folklore sarebbe la «forma» adottata dalle masse «per irrompere nella storia», secondo la famosa nozione demartiniana, in questo senso abbastanza crociana, sebbene allora fosse politicamente rivoluzionaria.

La sua posizione teorico-metodologica è abbastanza esplicita nell’introduzione all’opera del 1979 Il silenzio, la memoria e lo sguardo. Nel lavoro, Lombardi Satriani si pone il problema di dare voce al mondo popolare meridionale, il cui patrimonio folklorico spesso non veniva adeguatamente indagato come, invece, richiederebbe la necessità di «ridare voce a chi storicamente ne è stato espropriato, ai “muti della storia”».

Per questo motivo – sostiene Lombardi Satriani –, bisognerebbe andare oltre la mera registrazione del dato folklorico, riuscendo a cogliere in esso «il suo essere globalmente – pur con profonde contraddizioni e ambivalenze – cultura oppositiva».

Come si è accennato prima, questa posizione teorica sulla cultura popolare ha provocato un vasto e contrastato dibattito, il quale, spesso, è stato strumentalizzato in base all’appartenenza a particolari correnti ideologiche, teoriche ed accademiche dell’antropologia italiana.

Le differenti contrapposizioni hanno spesso travalicato e travisato la reale istanza teorica della proposta di Lombardi Satriani che, in tutti i casi, ha il merito di essere stato in Italia un importante protagonista del dibattito antropologico.

In tale contesto, si collocano le ricerche sulle feste nelle quali è rivolta in modo innovativo l’attenzione alla religiosità popolare; vengono documentati e analizzati i momenti spettacolari delle processioni e la coralità sociale tramite la messa in scena dei riti realizzata grazie all’attenta regia delle associazioni confraternali, spesso operanti in contrasto con le gerarchie della Chiesa.

In tale ottica, per esempio, gli interessi di Lombardi Satriani sono rivolti, in particolare, al dramma festivo connesso alla passione e alla rappresentazione del martirio di Cristo, alla sua morte e resurrezione alla vera vita nella quale simbolicamente viene coinvolta l’umanità.

Per Lombardi Satriani, il sangue è l’elemento simbolico dominante nel dramma pasquale, nel quale il primo atto è rappresentato dalla passione e dalla morte, mentre il secondo atto viene espresso dal trionfo della resurrezione, che costituisce la sintesi e la conclusione di tutte le feste, inglobando, in modo perfetto, l’eterno dualismo di morte e rinascita. In sostanza, queste rappresentazioni di tipo teatrale, secondo Lombardi Satriani, sono state abbondantemente riprese e riplasmate dalle culture popolari in occasione di riti penitenziali; quelli dei flagellanti e dei battenti sarebbero esempi significativi.

In sostanza, in questi casi, il sacrificio del sangue e la sua riproposizione rituale riprenderebbero il racconto biblico della creazione e con questa l’inizio mitico dell’umanità.

A questo riguardo egli scrive nel 1982 nella nota opera il Ponte di San Giacomo: «L’inizio del tempo dell’uomo è segnato dallo spargimento di sangue di una vittima innocente; il sangue di Abele dà cominciamento al tempo della violenza, dei gesti procuratori di morte.

Dopo la cacciata dall’Eden, l’umanità decaduta viene riscattata dallo spargimento di un altro sangue, che segna l’inizio del tempo rinnovato. Il sacrificio di Cristo, continuamente rinnovantesi, rifonda la vita dell’uomo e garantisce nel tempo la salvezza» (1982, pp. 324).

In quanto tale, il sangue è un elemento fortemente simbolico e, secondo Lombardi Satriani, sarebbe come una realtà precategoriale indispensabile per fondare la cultura e giustificare, così, l’esistenza stessa della realtà. Le feste, quindi, non sono altro che rappresentazioni rituali dell’essere del sangue nel mondo, ovvero dell’esistere degli uomini nello spazio e nel tempo che gli stessi uomini costruiscono, trovando la soluzione alla morte nella resurrezione della divinità che si umanizza, assumendo in sé tutte le precarietà umane. A questo punto probabilmente risulterebbe eccessivo continuare ad approfondire gli esisti delle ricerche e delle analisi condotte nella cultura popolare da Luigi Lombardi Satriani; pertanto, forse è sufficiente che i numerosi altri aspetti degli argomenti da lui affrontati vengano ricavati dalle indicazioni bibliografiche».