Carnevale Oggi

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La rievocazione del Carnevale è diventata oggetto di attività extracurriculare.

Queste note e considerazioni sul Carnevale, così come oggi e possibile osservare ovunque, utilizzano le ricerche condotte in Basilicata e in Puglia tra la fine degli anni Settanta e la metà dell’Ottanta, quando molte rappresentazioni e le tradizioni popolari nel loro insieme, cominciavano a dare segni d’inattualità e disgregazione, lì dove già non fossero state abbandonate.

Erano manifestazioni che conservavano ancora profonde tracce del loro significato tradizionale, pur nella trasformazione dei contesti storico-sociali, culturali ed economici. In seguito la ricerca è stata estesa al Molise agli stessi Carnevali osservati decenni prima, in parte o del tutto modificati o anche frutto di reinvenzione.

Presumo che quanto ricavato direttamente dalle osservazioni possa essere valido, sia pure in senso generale, anche per quanto similmente è avvenuto e avviene nelle altre regioni. L’organizzazione del Carnevale e la partecipazione al suo svolgimento allora dipendevano dall’iniziativa individuale o, in qualche caso, dei gruppi che si formavano in funzione della sua realizzazione.

La forma cerimoniale era, tendenzialmente, rispettosa della tradizione e, se non del tutto conosciuta, seguiva le indicazioni degli anziani che “avevano fatto il Carnevale”. L’estemporaneità dell’iniziativa individuale, pur utile alla ripresa e mantenimento della tradizione ne ha determinato l’incertezza e la discontinuità.

Questo procedimento ha consentito la riattivazione, a volte solo formale, di alcuni elementi scenici del Carnevale, non più inteso come espressione rituale, ma come occasione e luogo per teatralizzare la citazione e idealizzazione di una realtà agropastorale in dissoluzione o scomparsa, di cui è diventato agevole e non più emarginante la citazione e la dichiarazione di passata appartenenza.

I protagonisti della nuova organizzazione del Carnevale sono individui appartenenti ai ceti borghesi o figli e nipoti, di nuova acculturazione, di coloro che si sono “riscattati” dalla condizione contadina. A questa nuova realtà socio-culturale ed economica in trasformazione, dalla fine degli anni Settanta, anche se episodicamente, si è progressivamente aggiunta l’attenzione per la cultura e le tradizioni locali delle scuole elementari e medie inferiori, dove la rievocazione del Carnevale è diventata oggetto di attività extracurriculare.

Quest’attività, coinvolgendo le famiglie e quanti in passato ritenevano che le tradizioni popolari fossero retaggio di ritardo socio-culturale da dimenticare, ha contribuito alla rivalutazione delle diverse espressioni della cultura tradizionale locale.

Il Carnevale, con le sue maschere, è acquisto quale patrimonio da difendere per elaborare la propria identità e come strumento di richiamo turistico. Su questa linea, dalla metà degli anni Ottanta, hanno iniziato a operare, prima episodicamente, poi in maniera sempre più strutturata e consapevole, le Associazioni culturali e le Pro-Loco che, in molti casi, affiancano l’attività della FITP.Ora, molte rappresentazioni di Carnevale scomparse o variamente trasformate nella forma e nei comportamenti ancora osservabili qualche decina d’anni fa, soprattutto nei piccoli centri. Alcuni elementi e azioni specifiche del “fare Carnevale” hanno assunto una forte valenza scenica.

Anche se deprivato dai contenuti rituali e metaforici che lo identificavano come rappresentazione del mondo agropastorale, il Carnevale ha assunto una nuova e centrale funzione: l’autocitazione. Con questa nuova connotazione, molte comunità, si presentano a se stesse e all’attenzione di una realtà sempre più globalizzata; per non perdersi.

Le maschere tradizionali sono diventate forme di “travestimento in maschera”. In alcuni casi, le maschere, pur nella loro tipizzazione figurale, a volte ridondante e ipertrofica, e nelle esibizioni limitate alla sfilata in cortei, hanno mutato il senso rituale e cerimoniale, ormai anacronistico in una realtà sempre più laicizzata.

Chi indossa una “Maschera” non è più, ne può più esserlo, “la Maschera”, cui era riconosciuta una funzione rituale socialmente condivisa. Chi “si veste a maschera”, indossa un abito di scena per spettacoli funzionali alla citazione delle origini, spesso frutto, anche queste, di reinvenzione.

Il travestimento è, dunque, esibito come nuovo emblema, concluso e significante in sé delle identità culturali locali. Per questa nuova funzione attribuita alla “Maschera locale”, le varie Associazioni culturali e le Pro-loco, spesso sostenute dagli Enti locali, hanno assunto il ruolo e la funzione di depositari del patrimonio immateriale, curandone anche la divulgazione che, in forma di spettacolo, ne consente la conservazione e la divulgazione.

La nuova riutilizzazione scenica e spettacolare del “fare Carnevale”, conferisce senso alla proposta turistica implicita, per esempio, nei tanti gemellaggi e raduni in cui comunità, con tradizioni diverse, attraverso i nuovi protagonisti si scambiano le rappresentazioni e le mascherate.

Queste iniziative, sempre più frequenti, accompagnate da attività turistiche ed enogastronomiche, comportano lo scambio e le “visite” delle mascherate anche oltre il tempo debito. Tutto questo si va compiendo nel processo, inevitabile e, ritengo, utile perché sia possibile, oggi, la sopravvivenza delle espressioni della cultura popolare e tradizionale in un contesto globalizzante in continua trasformazione, in cui l’esistenza e il valore di qualsiasi espressione culturale è riconosciuto se esibito in forma e dimensione spettacolare.

Il rischio di questo procedimento è duplice. Da un lato c’è la volontà della ricostruzione filologica e, dunque, statica di tradizioni e pratiche non più coerenti con i “vissuti viventi” contemporanei. Dall’altro lato la riattualizzazione, che implica un processo di rifunzionalizzazione, è irreversibile ma utile alla conservazione delle più importanti espressioni del patrimonio culturale immateriale che, per sua natura, è soggetta a continui adattamenti e riformulazioni.

L’oggetto culturale di origine tradizionale e folclorica è diventato permeabile al nuovo, oggi più velocemente che in passato. In particolare il Carnevale, per la sua natura allusiva, spettacolare, scenica, ha perso gran parte della formalizzazione e dei condizionamenti legati al genere e a definiti contesti sociali.

Questo processo in ambito urbano è iniziato nel XVI secolo. Oggi Carnevale è “oggetto culturale” plasmabile, adattabile all’uso che anche le piccole comunità ritengono più adeguato e coerente con l’immagine che intendono a elaborare di sé.

In questo procedimento, antropologicamente più interessante e vitale, la riattualizzazione, la reinvenzione delle tradizioni del passato e l’introduzione di nuove rappresentazioni e, in questo caso, di nuovi modi di “fare Carnevale” che diventano “tradizione”, vanno acquisite e considerate come compiute espressioni della contemporaneità.

Annotazione che rende i nuovi Carnevali assimilabili, concettualmente, al senso originario di quelli tradizionali che hanno subito, in tempi più lenti, modificazioni e re-invenzioni. Si trattava di modificazioni che di volta in volta dovevano esprimere e rappresentare ciò che li rendeva coerenti con contesti socio-culturali ed economici in cui erano “oggetto culturale” significante.

Scompare e si svuota di senso il significato del Carnevale come azione funzionale alla definizione di ciò che definisco “ciclo cristologico” (Natale, Capodanno, Epifania, Carnevale, Quaresima, Pasqua, Ascensione), in cui il capovolgimento della quotidianità e l’irruzione del Caos, formalizzati nei comportamenti delle maschere, erano acquisti quali azioni cerimoniali necessarie alla rifondazione del nuovo ciclo agrario e produttivo.

Il ribaltamento dei ruoli e il Caos rituale, che le Maschere e il Carnevale rendevano possibile la rappresentazione dell’Alterità, oggi non sono più necessari nella moderna e contemporanea definizione degli spazi e del tempo.

Entrambe le espressioni rivivono nella dimensione ludica, spettacolare, esibizionistica e nelle tradizioni enogastronomiche locali: attuali strumenti della nuova sacralizzazione della laicità del “fare la festa”, dunque, del “fare Carnevale”.

Le Maschere, che chiunque può indossare senza distinzione di genere partecipando alle sfilate, nella nuova assunzione simbolica sono diventate emblemi identitari. Le Maschere, in questa nuova dimensione, come emblemi locali, come parenti muti di provincia un po’ spaesati, si aggiungono alle maschere celebri, già in passato urbanizzate, e ai “tipi” cittadini e regionali della vecchia Commedia dell’Arte.

Quelle Maschere diventate “tipi”, le potremmo interpretare come prima fase storica delle varie trasformazioni e riattualizzazione, laicizzate, acquisite come cardini scenici in contesti cittadini non più direttamente riconoscibili come “popolari-tradizionali”, secondo gli schemi e ideologia romantica.