I prodotti agroalimentari pasquali e il loro attuale uso nella cultura popolare del Lazio

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Il Lazio è ricco di cibi pasquali. Un primo elenco si può ricavare consultando il volume Le eccellenze gastronomiche del Lazio edito nel 2015 a cura dell’ARSIAL, Agenzia Regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura nel Lazio e basato sull’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali, in breve PAT, istituito presso il Ministero per le politiche agricole con il Decreto Ministeriale 8 settembre 1999, n. 350.

Scorrendo la lista, che si tramuta facilmente in una preziosa fonte di studio, emerge un quadro gastronomico riconducibile a cinque categorie: i prodotti derivanti dall’allevamento suino come la corallina romana e il lombetto o lonza; quelli di stampo dolciario come il ciammellone morolano, la caciatella e i recresciuti di Maenza, le ciambelle di magro di Sermoneta, i fiatoni o fiaoni dell’alto Cicolano, la panicella di Sperlonga, le uova stregate di Arpino e Veroli e i quaresimali di Alvito e della Valle di Comino; i biscotti di forma particolare come i cavallucci e le pigne di Palestrina, lu cavalluccio e la puccanella di Amatrice e la tosa di Pasqua con la pupa e gliu campanaru a Supino; i cibi tendenti al salato come i caucioni di patate del Cicolano o la pizza grassa di Leonessa e naturalmente le molteplici forme di torta pasquale che vanno dalla palombella o tortano di Pasqua del Reatino, alla pizza di Pasqua della Tuscia, ai torteni, torteri o tortoli censiti in diversi comuni delle province di Frosinone e di Latina.

Le note di presentazione e i cenni storici descrittivi dei vari prodotti permettono poi di ricostruire le loro funzioni.

Gli insaccati conditi quasi sempre con spezie, nel passato, accompagnavano in modo ottimo uova sode e torte pasquali, dolci o al formaggio, nella colazione di Pasqua che aveva luogo dopo che il sacerdote aveva benedetto queste cibarie.

Esse avevano dunque un particolare valore simbolico e rituale fortemente collegato alla liturgia cattolica.

Ciò è tanto più evidente per esempio nel caso della palombella reatina, fatta a forma di nido di colomba con uovo al centro.

Tutte le torte pasquali sono un evidente espressione di quelli che l’antropologo Piero Camporesi definisce “pani rituali”, ossia i pani delle grandi occasioni, ottenuti con gli stessi ingredienti del pane ma arricchiti e decorati con sostanze dolcificanti e a volte colorate. I biscotti destinati ai bambini erano per lo più consumati durante la scampagnata fuori porta che a seconda della località si effettua il giorno di Pasquetta o in quello dell’Ottava di Pasqua quando, assumendo forme vicine al gioco e intrecciandosi a volte con usanze di fidanzamento tra coppie, cavallucci e campanari si distribuivano ai maschietti e bamboline chiamate puccanelle o pigne alle bambine.

La secolarizzazione degli ultimi decenni ha certamente ridotto la valenza religiosa e la benedizione pasquale di uova, torte e salami è oggi poco praticata. A questo punto è opportuno chiedersi, ma questi cibi attualmente si preparano in casa? Un rapido sondaggio compiuto nel mese di marzo del 2019 in collaborazione con i gruppi folklorici del Lazio iscritti alla FITP dimostra che la cultura popolare a carattere alimentare legata alla Pasqua è viva e praticata in ambito domestico.

A Tivoli Anna Maria e Franca del gruppo Le Tamburellare conoscono i segreti della pizza cresciuta; Anna Maria mamma di Cesare del gruppo Montepatulo di S. Angelo Romano inforna appositamente la pizza nera a forma di colomba e la pizza varata; a Pescorocchiano Betta e Daniela della Compagnia degli Zanni cuociono in casa i cauciuni con patate e formaggio e familiari più anziani come Domenica di S. Lucia di Gioverotondo ammanniscono regolarmente la caciata per la mattina di Pasqua insieme con salame locale e coratella; ad Alvito Oscar del gruppo Picari del Cominium dice che i ragazzi sanno come fare una pigna; Federico del gruppo Chigli e Morolo conferma una diffusa fattura del ciammellone morolano; Rita suocera di Diego del gruppo Vallemaio dell’omonimo paese è esperta di tortoli; Antonio del gruppo i Paggetti di Minturno invia per whattsapp la ricetta della sua prozia Lina Frate de ju tòrturu e Pasqua e spiega cosa lo distingue da ju tòrturu di pane sul quale si pongono bandierine colorate; anche Pina del gruppo Glio Ventrisco di Castelforte impiatta solitamente il Tortano di Pasqua e una pizza dolce guarnita con le arance bionde di Suio, un prodotto DOP.

Tra l’altro si viene a sapere che nei comuni del Lazio meridionale già appartenenti al Regno di Napoli a Pasqua si mangia la pastiera, non indicata dal volume dell’ARSIAL, così come nella limitrofa Campania. Da ricordare, ovviamente, anche l’abbacchio che conserva nella storia della cucina romana e laziale un ruolo fondamentale specie in questa festività.

Dove la produzione familiare è latitante, a colmare il vuoto intervengono forni e norcinerie del posto che quasi ovunque vendono su ordinazione torte pasquali e altri cibi tipici.

Il dialogo con i componenti dei gruppi folk ha permesso di entrare direttamente nelle loro case. In un attimo si è aperto uno scenario e si è verificato come nel territorio della regione Lazio questa sacra ricorrenza unisca solidamente le famiglie intorno alla tavola. Magari più in occasione del pranzo piuttosto che della colazione come un tempo, è vero, ma pur sempre nel giorno di Pasqua. Diffusissimo è anche il costume di fare una scampagnata all’aria aperta nei giorni seguenti: a Palestrina è un classico andare presso la sorgente del Pisciariello.

Ad Arpino, invece, le ragazze usano regalare al proprio fidanzato la Pigna cresciuta. Dunque, l’intero periodo pasquale rappresenta tuttora un momento importante di socializzazione e pare tutto sommato resistere all’invadenza dei modelli individualistici imposti dalla società postmoderna.

Infine, una considerazione aggiuntiva che vale come proposta: le informazioni raccolte mostrano indirettamente come l’elenco ministeriale dei PAT sia attualmente incompleto in quanto non appaiono diverse varianti dei prodotti, ad esempio mancano la caciata, la coratella, la pizza varata e la pizza cresciuta, oppure l’area di diffusione di quelli che vi sono risulta parziale essendo in realtà molto più vasta.

In tal senso, per integrare i dati potrebbe essere utile proprio l’apporto dei gruppi FITP che hanno il vantaggio di essere ramificati su tutto il territorio e di essere culturalmente radicati nella propria comunità di appartenenza.