La natività ritrovata. Le pastorali nell'Agrigento

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Tra le ritualità del ciclo natalizio che caratterizzano il panorama festivo del territorio agrigentino occupano un posto assai rilevante, unitamente ai fuochi e ai fantocci cerimoniali accesi per l’Immacolata (luminari a San Biagio Platani, vamparotti ri la Maculata a Ravanusa e Canicattì, U Diavulazzu a Caltabellotta) o in occasione di novene itineranti presso edicole votive riccamente addobbate (fiureddri) (Montaperto, Aragona, Licata) (I. E. Buttitta 1999), particolari forme di rappresentazione della Natività denominate Pastorali e inscenate tra Natale e l’Epifania nei comuni di Licata, Sant’Angelo Muxaro e Santa Elisabetta. Riconducibili agli officia pastorum medievali e ampiamente documentate da Pitrè che in Spettacoli e feste popolari siciliane (1881) ne attestava la diffusione in Sicilia a livello popolare tra i secoli XVII-XVIII tali forme di dramma sacro risultano un esempio assai interessante di patrimonio festivo esito di stratificazioni, riadattamenti e rielaborazioni di provenienza culta e folklorica ancora oggi particolarmente vitale a livello locale. Nonostante i profondi mutamenti socio-economici intervenuti all’interno delle strutture produttive locali, le azioni rituali reiterate nelle Pastorali agrigentine (mascheramenti, danze, balli, suoni, azioni comico-oscene) lasciano trasparire un arcaico codice mitico-cerimoniale in cui il pastore affiora quale figura altra, liminale, agente del passaggio dal caos al cosmos presente nelle cerimonie invernali-primaverili in Sicilia e in area euromediterranea (Buttitta 1995; Bonanzinga 2003; Giallombardo 2003, Buttitta I. E. 2009) A ciò fa puntuale riferimento il clima festivo che pervade i paesi delle Pastorali in cui alle immancabili e “tipiche”  “Sagre della ricotta” o altre attività di richiamo turistico si affiancano le capanne/grotte in legno e frasche vegetali presso le edicole votive e nelle piazze, la presenza di greggi, paesaggi sonori particolarmente connotati (campanacci, zampogne ecc.), consumo smodato di bevande e cibi (vino, carni e formaggi preparati sul posto) che rivelano la valenza di rifondazione stagionale di tali cerimonie e di rievocazione della memoria pastorale locale come avviene a Sant’Angelo Muxaro e a Santa Elisabetta. A Licata, grosso centro portuale della costa agrigentina, La Pasturali si svolge dal 26 Dicembre al 6 Gennaio. I protagonisti sono tre Pastori (Bbardassaru, Marsioni e Titu) accompagnati da un Curatulu e due suonatori che inscenano una performance in cui accanto a dialoghi in italiano si alternano vivaci battute improvvisate in dialetto a sfondo comico e osceno. Giunti presso la capanna/grotta al suono delle zampogne (ciarameddri) e cerchietto (cimmulu) i Pastori tentano di addormentarsi attendendo la Nascita del Messia che annunciata dal Curatulu viene celebrata con balli improvvisati con i convenuti, la distribuzione di cibi e bevande e la distruzione della capanna per alimentare il falò (Bonanzinga 2005).  A Sant’Angelo Muxaro e Santa Elisabetta, comuni limitrofi a ridosso dei Monti Sicani ancora fortemente legati a una economia di tipo agropastorale, per l’Epifania si svolgono particolari forme di Pastorale localmente denominate a vastasata di Nardu e Riberiu (La vastasata di Nardo e Riberio) e u se innaru (il sei Gennaio). In queste rappresentazioni, rispetto alla Pastorale licatese, affiora in maniera assai più esplicita l’alterità carnevalesca incarnata dalle figure dei Pastori che termina definitivamente con la nascita del Bambino e L’Adorazione dei Magi. A Sant’Angelo Muxaro Nardu e Riberiu attraversano il paese a dorso di mulo conducendo il gregge continuamente richiamati da U Camperi (il Campiere) che invano tenta di arginare le innumerevoli cadute, le brusche fermate e altre azioni comico-oscene inscenate dai protagonisti  spesso intervallate da abbondante consumo/distribuzione di vino, formaggio e salsiccia (foto 1-2) Giunti alla masseria allestita in piazza dopo aver preparato la ricotta (foto 3) Nardu e Riberiu tentano di riposare ma vengono prontamente svegliati dall’Angelo del Signore che accompagnato dalle virgineddri che li esorta a venerare il Bambino. A Santa Elisabetta la Pastorale prevede invece l’azione di vari personaggi (i pastura, u curatulu, i cavaleri, u vurdunaru ecc.) dove campeggia la figura di Nardu che secondo le testimonianze locali incarna u sfacinnatu figura marginale della gerarchia pastorale. Già dalla mattina del 6 gennaio piccoli gruppi di zampognari e tamburini, unitamente alla banda musicale, iterano per le vie del paese aspettando l’arrivo dei Pastori e delle greggi. Intorno alle 13.00 Nardu irrompe nel corteo dalla Chiesa Matrice dove viene “truccato” annunciato da spari di fucile e suoni di zampogna. Col volto imbrattato di bianco, incapsulato in una sacca di juta tenuta da una cintura di ddisa (ampelodesma) e perennemente appeso al suo bastone viene trascinato e continuamente richiamato dai pastori (foto 4-5) verso p.zza San Carlo trasformata in una massaria. Le scene si susseguono immerse in contesto connotato da urla, spari e frastuoni (Bonanzinga 1996) e dalla sistematica inversione delle attività lavorative in occasioni caotiche e trasgressive che Nardu trickstericamente inscena. Indolenza e improvvisi scatti panici, allusioni erotiche, sputi di pasta e ricotta come il lancio degli stessi strumenti di lavoro (fasceddri) e della ddisa sul pubblico compiacente (foto 6-7) si concludono con l’arrivo dei Magi a cavallo che pongono fine a questo autentico carnevale pastorale (Cusumano 1997). Le Pastorali che ogni anno rinnovano tempi e spazi del sacro di queste piccole comunità dell’entroterra agrigentino sembrano assumere, alla luce dell’inarrestabile impoverimento culturale dei natali digitali e mediatico-consumistici come anche di talune risposte identitario-localistiche proliferanti di presepi viventi “tradizionali”, il particolare valore testimoniale di una Natività ritrovata.