Nelle marche il recupero del folklore contadino

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Il primo bicchiere per la sete; il secondo per la gioia; il terzo per il piacere; il quarto per la follia»;  con questa citazione di Apuleio è possibile compiere un breve viaggio nella cultura popolare delle Marche. Si tratta di una terra sospesa tra mare e cielo, mentre le dolci colline orlate dai tanti vigneti declinano verso il Mare Adriatico. È un viaggio che dà serenità per i borghi e per i paesini trovati arroccati lungo le contrade, per il vino e folklore vissuto dalla gente con il gusto per le cose semplici ed essenziali come la famiglia, gli amici, le osterie e gli amori di una terra in apparenza sonnolenta.

Nelle Marche, sono numerose le Case Vinicole che producono variegati e variopinti vini che rallegrano le calde serate estive e quelle uggiose di un mite inverno, in cui l’allegria torna ad alleviare le fatiche delle lunghe ore trascorse negli opifici, nelle fabbriche di calzature, di mobili e di abbigliamento presenti in numerose zone. Avviene che, nelle occasioni di pausa dal lavoro o di festa, si faccia avanti un tamburello;  la tavola, in cui si è banchettato, venga sparecchiata e quindi dal fondo dell’osteria una chitarra si materializzi. Quindi, alcuni ritrovano da qualche parte un organetto. La cameriera fa largo. Le sedie si allineano lungo le pareti e il momento atteso finalmente arriva. Le festose note di famose melodie riempiono il locale, travalicando le pareti e diffondendosi per il borgo. I passanti, attirati dal qui suoni  e canti, si affacciano all’uscio dell’osteria. Nei canti, la voce squillante di un uomo di mezza età riporta alla mente, con un filo di nostalgia del passato, le serate passate sull’aia a cantare, a ballare e a bere fino ad accasciarsi ebbri e felici sulle sedie di paglia o sull’erba profumata di menta e lavanda.

È la nostalgia dei tempi di chi ha avuto la fortuna di nascere e vivere in campagna; mai dimenticati neppure da chi, nato e vissuto in paese, nel passato, aspettava la notte per slacciarsi il grembiule e deporre gli attrezzi, lavare il sudore e iniziare a riposare dopo tante ore passate a cucire e risuolare scarpe. In quei momenti, di un tempo ormai passato, l’ospitalità era sacra e ai visitatori provenienti dalla città era riservato il calore familiare, nel quale emergeva naturale amicizia e disponibilità degli agricoltori marchigiani. Veniva offerto formaggio, salame e pane fatto in casa dal profumo speciale. Tutto era accompagnato da fiaschi di buon vino. Esplodeva così la festa con musiche e balli tra i quali era fondamentale il Saltarello che si cercava di insegnare agli ospiti cittadini. E su tutto e tutti incombeva lo sguardo vigile delle «vergarei», le matrone di casa, ovvero le donne anziane che, di fatto, svolgevano la funzione di capi famiglia; a loro nulla sfuggiva nella conduzione della vita famigliare e negli ammiccamenti pieni di promesse tra i propri cari e gli ospiti cittadini. Spesso le vergare, senza dichiararlo esplicitamente, in cuor loro, talvolta speravano che qualcuna delle ragazze di casa - predestinate ad essere contadinelle - fosse stata chiesta in sposa dall’operaio di paese con cui stava azzardando i primi passi di un ballo tradizionale. Si sa che la vita a volte può essere buffa. Per esempio, ancora oggi chi lavora in campagna, stando in paese, vede come un miraggio coloro che lavorano in fabbrica non soffrendo nelle più gravose fatiche agricole. Si verifica il contrario per gli addetti ai lavori industriali che desiderano condurre il lavoro all’aria aperta. Queste considerazioni sulle condizioni ambientali del lavoro, negli ultimi decenni, ha determinato che i lavoratori agricoli abbiano cercato di trovare occupazione nell’industria o nei diversi comparti del terziario urbano. Però, bene presto, di recente si è verificato un loro ritorno verso le campagne con un forte recupero verso le attività agricole e le connesse tradizioni socio-culturali. Da qui, nei vari paesi marchigiani, l’attuale rifiorire di feste e sagre,  nelle quali vengono sfoggiati i costumi tradizionali; inoltre, vengono realizzati speciali spettacoli folklorici con canti, musiche e balli tratti dall’antico patrimonio culturale contadino. Pertanto, oggi la cultura popolare di un tempo riprende nuova vita grazie alle riproposte degli spettacoli folklorici; sono possibili rappresentazioni  rivitalizzate delle antiche tradizioni popolari recuperando, nei vecchi bauli impolverati, le lunghe gonne colorate, i grembiuli bianchi infiocchettati e i mutandoni della nonna; gli uomini indossano i loro pantaloni al ginocchio, i gilet scuri sulle camicie bianche; arrotolano le maniche, calzando il vecchio cappello di feltro o di paglia fino agli occhi; risuonano le musiche e i canti della tradizione. Su tale recupero, che spesso interessa anche gli amministratori locali, si aprono mostre e musei; si raccolgono indumenti, strumenti, stornelli, poesie, fotografie color seppia e antichi spartiti. I gruppi folklorici, formatisi nelle diverse comunità marchigiane, vengono invitati ad esibirsi nei paesi del  circondario in occasione di feste religiose o delle sagre del maiale, dell’oca, delle tagliatelle o dei «boccolotti dello batte», la pasta larga che, nel passato, si condiva con ragù e quindi preparata nei giorni festosi della battitura e della raccolta del grano. Come è facile immaginare, anche negli attuali momenti di festa e di spettacolo allestiti in occasione dei ricchi banchetti alimentari, le pietanze sono accompagnate da ottimi vini: il Verdicchio di Matelica e di Jesi per i bianchi, il Rosso Piceno, il Rosso Conero, il Merlot, la Lacrima di Morro per i vini rossi.