Danze zoomorfe e animali danzanti

Danze zoomorfe e animali danzanti

1 – Animali e danze di fuoco

Umani e bestie

Nelle civiltà agropastorali la convivenza fra umani e mondo animale è sempre stata una questione di necessità esistenziale. Si tratta di una relazione continua e presente ad ogni latitudine del pianeta e in ogni epoca a partire dalla preistoria, ma l’interazione è sempre complessa e differente a seconda dei contesti geografici, storici e ambientali di ogni paese. Gli animali sono, infatti, fondamentali per la vita umana, non solo per il sostentamento alimentare, ma anche per molte altre funzioni, dal trasporto alla forza ergonomica, dalla custodia e protezione alla collaborazione e aiuto, dalla compagnia alla zooterapia in molte attività umane.

Tale connubio di destini si riflette in varie espressioni e creazioni della cultura agraria e zootecnica, dall’arte figurativa alle composizioni verbali tramandate oralmente (fiabe, racconti, novelle, proverbi, canti). E ovviamente non poteva risultare assente il mondo animale anche nel linguaggio organizzato e ritualizzato del corpo, qual è – per sua essenza – la danza etnica.

Nel ricco patrimonio etnocoreutico italiano abbiamo trovato molte danze riferibili alla fauna, d’altra parte non potevano mancare nelle rappresentazioni coreutiche soprattutto rituali, le presenze di animali danzanti o dell’uomo che personifica alcune bestie che appartengono alla dimensione quotidiana o che diventano metafore simboliche di concezioni localmente condivise. Basti pensare all’istituto culturale del tarantismo che nei secoli ha costruito sulla relazione con ragni, scorpioni e serpenti un apparato concettuale terapeutico complesso e differenziato.

Articolate in varie sottotipologie, le danze zoomorfe prevedono delle rappresentazioni differenziate anche in virtù della natura stessa degli animali e del loro habitat di vita, distinguendoli – ad esempio – fra animali selvatici e animali domestici o di pascolo. Molte danze zoomorfe sono danze di rappresentazione: sono cioè danze non di libero accesso al pubblico, ma affidate a persone esperte, a delegati della comunità che per loro competenza o consuetudine, sono incaricati ad eseguire la danza come cerimoniale festivo per conto dell’intera popolazione locale.

I fantocci animaleschi danzanti: asini, cammelli e cavalli di fuoco

In questo primo contributo prendiamo sinteticamente in esame le danze che prevedono la presenza di fantocci dalle sembianze animalesche, sagome che tradizionalmente vengono animate da uomini posti all’interno e fatti danzare in feste pubbliche. La maggior parte degli esempi conservatisi attivi prevedono anche la presenza di fuochi pirotecnici, i quali vengono imbastiti sulla sagoma dell’animale e fatti scoppiare gradualmente durante tutta l’esecuzione della danza.

In Italia la collocazione geografica di questa tradizione è prevalentemente meridionale, e coinvolgeva un tempo tutte le regioni del Regno di Napoli.

Gli animali riprodotti sono prevalentemente (in ordine di frequenza) asini, cammelli, cavalli e serpentacci.

Gli asini (o ciuccë e fuochë, u ciuccë dë fuchë, sceccu pacciu) sono presenti in Campania, in Puglia, in Calabria e in Sicilia. I cammelli (camiuzzu, camidduzzu) caratterizzano soprattutto la Calabria; i cavalli, o cavallucci (cavadduzzu) sono più rari e si ritrovano in Calabria e Sicilia; infine u sirpintazzu e l’omu sarvaggiu (serpentaccio e uomo selvatico) è presente in isolati casi in Sicilia.

Tutti questi animali sono costruiti con telaio di canne, legno o fili di ferro e sono poi ricoperti di cartapesta dipinta in modo da assumere sembianze dell’animale raffigurato; sopra o attorno al fantoccio vengono fissati su appositi telai metallici mortaretti (tric e trac), botti, petardi, fontanelle e girandole che a turno si incendiano perché collegati da stoppini o inneschi combustibili. Più lunga e varia è la durata dei fuochi d’artificio, più riceve l’ammirazione del pubblico.

L’accompagnamento musicale muta a seconda delle usanze locali: in Calabria si preferisce avere un organico di piccola banda con rullante, piatti e grancassa (talvolta accompagnati da un ottavino metallico o ciaramella) che esegue un ritmo (o melodia) di tarantella. In altri casi vi è la banda musicale o – di recente – si adopera anche musica registrata da ballo.

In rapporto alle modalità di realizzazione delle esibizioni coreutiche o dell’esplosione di fuochi pirotecnici, tali fantocci oggi si suddividono in tre categorie:

a) Fantocci danzanti animati dall’uomo

È un abile portatore che stando all’interno della sagoma dell’animale balla egli stesso durante l’esecuzione musicale muovendosi nella piazza con la gente posta in circolo e tenuta a debita distanza. A seconda del motivo musicale il ballatore si muove su appropriato ritmo con maestria e agilità, protetto dalla sagoma del corpo dell’animale, che lo ripara dalle scintille e dalle esplosioni pirotecniche.

b) Fantocci trainati

Molti comuni, per evitare rischi di incendi e bruciature dell’animatore-ballerino, da tempo hanno preferito la soluzione del fantoccio animalesco posto su un carrello (talvolta un verro carretto) munito di quatto ruote, che viene tirato lungo la via o la piazza da uno o più persone. L’animale di fuoco si muove così in forma itinerante. L’apporto musicale in questo caso diventa d’importanza secondaria, in quanto non vi è più rappresentata una vera danza ma vi è semplice un procedere del carrello a traino. L’animale smette così di danzare in senso stretto e traduce il suo movimento in percorso processionale meccanico.

c) Fantocci in postazione fissa

Per ragioni di incolumità degli agenti del rito e del pubblico, in alcuni centri le autorità hanno reso fisso e immobile il fantoccio, magari in buona esposizione visiva, e fanno incendiare gli artifici pirotecnici come semplice spettacolo, sottraendo così modi e significati del danzare. Sottratto il fascino del movimento, eliminati il protagonismo e l’abilità danzante del portatore, l’animale di fuoco diventa un semplice coagulo di pirotecnica e l’animale raffigurato resta inanimato; il senso del ballo è affidato solo allo scoppiettare policromo e dinamico di fiamme e scintille.

Cenni storici, archetipi e significazioni

Andando a indagare in ogni caso locale, talvolta si trovano narrati racconti mitici che spiegano l’origine dell’evento, soprattutto nel Vibonese dove regna il cammello, animale orientale che evoca nell’immaginario popolare assalti e invasioni di saraceni provenienti dal mare. Il fuoco e il simbolico abbruciamento rappresenterebbe la commemorazione o della messa a ferro e fuoco della terra invasa o la distruzione del nemico e la rievocazione rassicurante della vittoria su un pericolo esiziale per le comunità della zona.

Si tratta, ovviamente, dei comuni miti di fondazione che vorrebbero spiegare l’origine di un rito.

In realtà la presenza determinante del fuoco pirotecnico riporta tali fenomeni a epoche successive della scoperta in Occidente della polvere da sparo (sec. XV). Se notiamo la distribuzione mondiale di tali manifestazioni e il loro maggior radicamento e intensificazione, notiamo come sia stata la Spagna il centro di irradiazione. Infatti oltre che nella penisola iberica, gli animali danzanti di fuoco sono presenti in ex territori dominati per secoli dagli spagnoli: tutta l’America latina e il sud d’Italia.

Ma prima di arricchire la danza dei fantocci animaleschi con corredo pirotecnico, si usava far danzare fantocci animaleschi durante i carnevali o alcune feste religiose. Erano sempre gli uomini a dare anima e vita alla sagoma che ritraeva un qualche animale. L’uomo assume nel carnevale simbolicamente il ruolo di creatore di vita e può permettersi di innescare il mutevole ed effimero gioco delle identità differenti e provvisorie. Nella logica dell’assunzione di altra identità, strettamente connesso a tutti i riti carnascialeschi, è l’uomo, in questo caso, che si muta in bestia, servendosi come sempre di un appropriato mascheramento. L’animale, essere sacrificale di propiziazione e oggetto di scambio intercedente con la divinità, ritrovava nella finzione dell’imitazione una sorta di resurrezione: quando l’uomo si muta in orso coprendosi della sua pelle o in altro animale con costruzione di appositi manichini o pupazzi che lo rivestono, egli torna a far rivivere quello stesso animale rappresentato mediante la danza, la danza che è la metafora più propria e densa della vita, nella quale l’intera percezione sensoriale (movimento, suono, colore, ecc.) decreta – di conseguenza – l’apoteosi della vita sulla morte. Dunque era proprio il carnevale l’alveo contestuale originario degli animali danzanti, del mondo animale che si intreccia con quello umano, anch’esso facente parte del regno animale. Le sagome danzanti o gli uomini rivestiti di pelli di animali (orsi, lupi, cinghiali, montoni, capre, ecc.) o immersi in un artificiale profilo di animale ben si adeguano alle tematiche ricorrenti della liturgia laica del carnevale: dalla morte invernale della natura si torna alla rinascita della vita sia del mondo vegetale che di quello animale: danza, fuoco, musica, movimento, allegria sono ingredienti positivi altamente simbolici della rinascita

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