Canti di passione in Sardegna

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Nel vasto patrimonio delle tradizioni canore popolari della Sardegna sono particolarmente importanti i canti eseguiti durante la Settimana Santa. Fin da un lontano passato medievale, con la spettacolarizzazione della passione, morte e resurrezione di Cristo, rappresentate in tutte le comunità dell’isola con riti ed affollate processioni, il canto ricopre un ruolo rilevante; e sebbene, nella sostanza, si adegui alla liturgia ufficiale della Chiesa, a livello popolare subisce nella forma processi di rifunzionalizzazione adattandosi alle esigenze delle diverse comunità e relative culture che, nel tempo, si sono modificate.

Questo processo si è verificato anche in altri apparati simbolici specifici del ciclo pasquale, quali per esempio, l’abbigliamento confraternale, i simulacri, le cappelle e le stesse regole statutarie delle confraternite.

Gli stessi canti paraliturgici, sia corali che monodici, hanno subito complessi processi di trasformazione adattandosi ed aggiornandosi ai differenti momenti storici. Per esempio, sino ad alcuni decenni fa le sacre rappresentazioni, non solo quelle della Settimana Santa, vedevano una significativa partecipazione popolare, in particolare nelle piccole comunità dove alle processioni, in pratica, partecipava tutto il paese in modo spontaneo e naturale.

In una realtà culturale come quella attuale, prevalentemente basata sulla spettacolarizzazione, nella quale è più importante apparire piuttosto che esse realmente, nelle processioni e nelle altre cerimonie religiose alle quali partecipano cori e i gruppi folklori, questi assumono particolari posture lungo i percorsi processionali e gli spazi delle chiese dove si svolgono le cerimonie per essere meglio fotografati e ripresi dalle televisioni locali o da parenti e amici.

In pratica, qualsiasi comportamento o fenomeno sociale è oggetto di spettacolarizzazione e di relativa documentazione audiovisiva. Fenomeno questo che, in tutti casi, attualmente determina un particolare nuovo modo di proporre un fatto culturale religioso, per questo molto conservativo, come i canti di passione eseguiti nel ciclo pasquale che, in gran parte della Sardegna, sono definiti a cuncordu, cunzertu, tasgia; il nome varia a seconda della subregione dell’isola in cui sono eseguiti. In alcuni casi, per esempio, si riscontrano significative differenze armoniche.

Tuttavia, sostanzialmente questo tipo di canto si articola su impianti musicali simili. Di norma una formazione corale a cuncordu è composta da quattro parti maschili, fatta eccezione per Aggius, dove le parti sono cinque, mentre a Bono sono soltanto tre.

Nell’organizzazione del coro, i quattro componenti o parti si dispongono su diverse altezze tonali: la nota grave è definita bassu o basciu; la seconda nota è la contra, armonicamente definibile seconda voce, a Cuglieri detto tenore falsu.

Seguono sa boghe o tenore, bozi, voche e pesada a Seneghe, e su mesu boghe o mesa boghe, contraltu e falzittu a Castelsardo; ad Aggius, questa quarta voce è definita tippi, alla quale, però, si aggiunge una quinta acuta denominata falsittu.

Nelle diverse comunità, ognuna di queste parti si distingue da specifici colori timbrici, da tecniche di emissione vocale, da modalità di ornamentazione e da passaggi melodici che danno vita ad un peculiare impasto vocale che rende immediatamente riconoscibile il coro che effettua l’esecuzione.

Tuttavia, sebbene come si è appena accennato, ogni coro esprima nel canto la propria caratteristica, sicuramente qui è utile riprendere le particolarità fondamentali delle voci del canto corale a cuncordu, del quale si sono prima sintetizzati gli elementi principali.

Bassu (basso): La parte de su bassu è quella più grave e funge da sostegno armonico principale. Solitamente è piuttosto distesa, priva di nasalizzazioni ed è realizzata piena e senza vibrato. Nell’esecuzione, privilegia le note tenute o si muove per grado congiunto, sebbene si caratterizzi, in diversi passaggi, per la presenza di salti melodici di quarta o di quinta nelle fasi che portano alla realizzazione degli accordi tenuti o ribattuti.

Il passaggio da un suono all’altro avviene in maniera netta attraverso piccoli portamenti; sono rari i melismi e gli abbellimenti. Solitamente si mantiene a distanza di un’ottava da sa boghe o, in certi casi, da sa mesu oghe (mezza voce).

In alcuni brani, per lo più quelli in latino, è la voce che intona il canto. Può essere gutturale, in tutto il repertorio o solo in alcuni canti; per esempio questo avviene ad Aidomaggiore, Scano Montiferro e Seneghe.

Contra (contra): Sa contra costituisce la parte che sta sopra su bassu; ovvero, di norma, con la voce poco tesa, è quella parte che meno emerge nell’impasto vocale complessivo, contribuendo con le proprie sonorità a determinare il suono caratteristico del paese che lo caratterizza nella fase di realizzazione accordale.

Si muove con grado congiunto o con salti che solitamente non superano gli intervalli di quarta, con passaggi da una nota all’altra diretti o aiutati da un leggero portamento. Assai rari i melismi. E’ gutturale a Scano Montiferro e, a seconda del brano, a Seneghe.

Boghe (voce): Sa boghe è la terza delle voci partendo dal basso. Svolge sovente la parte di leader, sia intonando la parte solista che conducendo la melodia che sarà armonizzata dalle altre voci. Spesso si trova in rapporto di ottava con su bassu e privilegia il moto per grado congiunto o per salti mai molto ampi.

Sovente piuttosto brillante, si staglia nettamente nel contesto esecutivo spesso realizzando ampi gorgheggi, melismi, abbellimenti e passaggi finemente ornati. Mesa ’oghe (mezza voce): Sa mesa ‘oghe è più acuta delle quattro voci; si mantiene per lo più a distanza di terza da sa boghe.

Di norma è una parte molto tesa che emerge con tutta evidenza nelle fasi del canto; spesso propone lunghi passaggi di agilità, di portamenti e di vibrati. Come si è già accennato, nella tradizione di Aggius si aggiunge una quinta voce, il falsittu, che interviene soprattutto in finale di frase partendo dall’ottava della contra e quindi termina con artifici armonici con l’ottava della voce.

Nel repertorio corale sardo, come avviene nel canto a tenore anche in quello a cuncordu, di solito come si già accennato, eseguito di norma a quattro parti maschili, il canto base viene condotto da un cantore a questo scopo specializzato; di solito, è un confratello così come gli altri tre di una particolare confraternita del paese.

Tuttavia, in alcuni centri sono presenti cori di canto a cuncordu formati da cantori non confratelli. Comune al canto a tenore in quello a cuncordu è la logica musicale, basata sulla piena sonorità dell’accordo maggiore in posizione fondamentale (con analoga disposizione delle parti vocali), anche se il canto a cuncordu presenta sempre una maggiore ricchezza e varietà di combinazioni di accordi.

Diversi sono, invece, l’impostazione delle voci (in particolare nel canto a cuncordu mancano i suoni gutturali) e il colore; la sintesi sonora risulta dalla loro combinazione, nonché l’impianto ritmico che, nel canto a cuncordu, è imperniato su note lunghe tenute, i cui valori non hanno i rapporti di proporzionalità della musica e del canto d’arte (ossia senza che vi si possa individuare una scansione regolare).

Significativamente differenti sono altresì gli scenari e le modalità dell’esecuzione. L’occasione principale del canto a cuncordu è costituita dai riti paraliturgici della Settimana Santa e, in particolare, dalle cerimonie del venerdì santo.

Diversi da paese a paese, tali riti prevedono percorsi processionali e alcune azioni drammatiche: s’incravamentu (la crocefissione) e soprattutto s’iscravamentu (la deposizione); come è noto, costituiscono i momenti principali della Passione.

Ogni momento del rito prevede uno specifico brano a cuncordu: solitamente si tratta di versioni locali del Miserere e dello Stabat Mater. In tutti i casi, il canto qualifica gli spazi del sacro e determina i tempi dell’azione rituale, catalizzando l’attenzione dei partecipanti al rito e dando senso all’azione rappresentata. Infatti, le esecuzioni rituali del canto a cuncordu sono sempre regolate da precise norme e nulla viene lasciato al caso.

Non si può cantare male, né sono permesse eccessive libertà rispetto ad una norma condivisa. I cantori propongono le proprie esecuzioni in una sorta di regime di delega collettiva: la loro esecuzione rappresenta l’intera comunità nel suo dialogo con il divino. I comportamenti musicali dei cantori, incaricati delle esecuzioni rituali, vengono attentamente vagliati dai partecipanti al rito e la loro esibizione viene giudicata fin nei minimi particolari; quindi, è oggetto di discussioni collettive nei giorni a seguire.

Accanto ai brani destinati alla paraliturgia, parecchi repertori locali di canto a cuncordu comprendono le parti dell’Ordinarium Missae (Kyrie, Gloria, Agnus Dei, Sanctus e talvolta anche Credo) eseguite per l’accompagnamento delle messe solenni; inoltre, sono cantati vari canti per altre occasioni rituali e devozionali dell’anno.

Infine, nel caso di impiego di repertori propriamente confraternali, vengono eseguiti brani specifici per i momenti principali della vita del sodalizio (il Te Deum per l’elezione del nuovo priore, l’ingresso dei novizi, eccetera); specifiche versioni del Miserere sono cantate per i riti funebri.

Si deve precisare che nei repertori di canto a cuncordu sono compresi anche brani con testi non religiosi e d’argomento profano. Tuttavia essi hanno una struttura musicale del tutto simile a quella dei brani con testo religioso.

I brani a contenuto laico solitamente non hanno una specifica destinazione contestuale. Di solito sono eseguiti nelle occasioni di ritrovo dei cantori, spesso durante banchetti conviviali e in momenti festivi.

Accanto a località dove la pratica del canto a cuncordu non ha avuto soluzione di continuità ed è documentata oramai da decenni (prime tra tutte Castelsardo e Santu Lussurgiu), ve ne sono altre in cui si è assistito (o si sta assistendo) ad una riscoperta della tradizione ad opera di gruppi di giovani, talvolta nell’ambito di una rinascita dell’istituzione confraternale.

Durante i riti della Settimana Santa, è possibile ascoltare il canto a cuncordu nei seguenti paesi: Castelsardo, Santu Lussurgiu, Cuglieri, Orosei, Aidomaggiore, Bonnannaro, Bortigali, Bosa, Nughedu San Nicolò, Galtellì, Ghilarza, Aggius, Irgoli, Sennariolo.

Nel sud dell’isola, in particolare a Cagliari nelle processioni e riti della Settimana Santa della chiesa di san Giovanni e in quella di san Giacomo nel quartiere di Villanova, vengono eseguiti canti di passione da cori composti da numerosi componenti (oltre cento) le cui melodie si strutturano sui moduli del falso bordone secondo un impronta che trae parecchi spunti dalle musiche del canto lirico drammatico realizzato nel Sette-Ottocento; a questo riguardo, è opportuno rilevare la particolare attenzione che il pubblico cagliaritano ha sempre avuto per l’opera lirica.