Riconoscere la valenza culturale del cibo, attraverso il quale si racconta anche la storia della nostra società, sottolineando quanto il patrimonio enogastronomico sia un carattere distintivo dell’identità italiana è stato, quest’anno, sancito in maniera ufficiale: 2018 Anno del Cibo Italiano. Valorizzare l’immenso patrimonio culinario italiano è un tema molto caro anche alla FITP che, da anni, con l’iniziativa Cuochi in Piazza, si pone l’obiettivo di divulgare la tradizione in cucina in quelle città o in quei borghi che ospitano i suoi maggiori eventi. Il 2018 ci ha visti «approdare» a Silvi Paese: ci troviamo a 15 km da Pescara, sulla costa Adriatica abruzzese. Il paese ci aspetta in cima ad un promontorio, con un panorama che si estende dal Gran Sasso fino alle Isole Tremiti, pronto ad accoglierci dentro le sue viuzze e piazzette che, nel lontano Medioevo, hanno protetto gli abitanti dalle scorribande dei turchi. Questo borgo di 1500 abitanti è il valore aggiunto dello spettacolo culinario messo in scena dagli 8 staff di cuochi che hanno dato vita a tradizioni gastronomiche a confronto. La location è un piccolo chiostro, dove si respira fin da subito una tensione emotiva palpabile, dettata da un lato dall’adrenalina della gara e dall’altro da un’urgenza espressiva che rende i concorrenti giustamente orgogliosi dei prodotti della loro terra e delle loro specialità culinarie. Ne hanno tutte le ragioni! Ogni tavolo di lavoro rappresenta una tessera del mosaico delle infinite ricette della nostra cultura gastronomica e diventa una «cassaforte di sapori e tradizioni». I “Maltagliati ai frutti di mare e ceci”, con cui Franco Costantini, direttore del Coro Lerario di Silvi, ha reso onore alla sua regione, inseguono l’eccellenza dalla montagna al mare d’Abruzzo, con i molluschi provenienti dall’area protetta del parco marino del Cerrano, in simbiosi con la Corale Sirente, di Castelvecchio Subequo, che fedelmente ripropone la dignitosa semplicità di un piatto povero come le “Taccozze, ceci e cime di rapa” con cui ci fa conoscere il grano di Solina, una varietà autoctona di grano tenero coltivata principalmente nell’area della Valle Subequana. Con il Gruppo Folk Augusta Folk si entra nell’arte di reinventare la propria terra, azzardando sapori e colori, dipingendo i piatti come un quadro, dove i pomodorini incontrano la rucola ed il formaggio, la ricotta incontra i pistacchi, il tutto sublimato dalla “Pasta co niuru ri siccia”, pasta al nero di seppia, tradizionalmente consumata il Venerdì Santo, il cui colore evoca il lutto della morte e della sofferenza. Si rimane in Sicilia, con il riferimento letterario di Camilleri, che cita “Le sarde a beccafico” ne “Il ladro di merendine”, il piatto con il quale il Gruppo Folk Figli dell’Etna ci ricordano come i popolani hanno semplificato l’opulenta cucina baronale della Sicilia, sostituendo un alimento di lusso come il beccafico con uno più a buon mercato come le sarde. L’Italia della qualità è la sintesi tra arte e tecnica, che si fondono nelle esperte mani delle cuoche di Fluminimaggiore; queste mani ripercorrono gesti sapienti ed antichi, ammaliano, catturano e prendono in ostaggio le centinaia di occhi degli spettatori, puntati sulla ancestrale maestria nel preparare i “Malloreddus con salsiccia e zafferano fluminese”. Lo zafferano, oro rosso di Sardegna, è una spezia preziosa che accompagna tutti i piatti della tradizione.
Riveste, però, anche un uso simbolico. Infatti, il pane confezionato per gli sposi, “su cocoi de isposus”, viene decorato con gocce di acqua e zafferano in quanto tale spezia è propiziatoria di bene e ricchezza. Tutto si faceva, per esorcizzare la paura della povertà, come narra la leggenda per cui con le stringhe, in Umbria, gli anticlericali strangolavano i preti, al tempo del governo dello Stato Pontificio. Alla forma di quelle stringhe traggono ispirazione gli “Strengozzi alla Spoletina”, una pasta lunga a sezione rettangolare, fatta con acqua e farina per il cui condimento il Gruppo Folk Spoletino ha scelto l’originale sugo di pomodoro e serpullo (timo selvatico), di gran lunga antecedente al prezioso tartufo di Norcia! Questo tubero ci rievoca il bosco, con tutta la sua alchimia di odori muschiati e colori caldi, dove il Gruppo Folk Gigetto del Bicchiere ha raccolto i funghi, in quei di Abetone Cutignano, in Toscana, per unirli alle castagne, perché sono i prodotti peculiari di questa parte dell’Appennino. Le “Tagliatelle di farina di castagne e funghi” erano il piatto delle feste, occasioni in cui all’impasto si poteva unire anche un po’ di farina di grano, difficile da reperire a quelle latitudini; negli altri giorni, invece, si mangiava ciò che si poteva ricavare dalla farina di castagne. Diversamente, a Cunardo, nell’alto Varesotto, la primaria fonte di sostentamento del popolo arrivava dal mais. “Murtadela, Fasõõoritte e pulenta” ossia mortadella, fagioli e polenta, alimenti che derivano dal maiale, che veniva allevato in ogni famiglia, dai prodotti dell’orto e dalla coltivazione dei campi; è un piatto dai sapori strutturati e servito, dal Gruppo Folk I Tencitt, su antichi piatti di ceramica. Fonti scritte testimoniano che a Cunardo l’arte della ceramica risale ai tempi di Tiberio, le botteghe di artigiani ceramisti si sono distinte nel corso dei secoli, per i particolari decori e, tramite processi antichi e raffinatissimi, si sono caratterizzate per il famoso colore blu di Cunardo.
L’antico chiostro di Silvi Paese non perde la sua funzione di proteggere, in questa occasione ospitando gli 8 Gruppi Folk che hanno contribuito a salvaguardare i valori della «civiltà» della tavola italiana, dimostrando di possedere una specifica filosofia del gusto. Perché il loro impegno ci fa conoscere l’importanza delle cucine regionali, di ogni piccolo comune ed, in particolare, di quelle familiari, unendo storia, cultura e costume d’Italia. Preservare questo patrimonio è giusto ed importante quanto preservare un monumento, un documento storico o un’opera d’arte. A questo proposito scene di cucina e di convivialità sono state immortalate da celebri pittori, mi piace però ricordarne uno, che sintetizza la condizione umile di un popolano intento a consumare un pasto frugale, con un’espressione quasi di sorpresa, come fosse lo scatto inaspettato di una polaroid: «Il Mangiafagioli», di Annibale Carracci (03.11.1560 - 15.07.1609).