Essere o non essere… questa, l’infinita Bovino

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Bovino, un borgo dal soave tepore armonioso che ogni giorno si veste a festa con i suoi portali, con il suo castello, con le sue bellezza naturalistiche, con l’accoglienza delle sue genti, con le sue prelibatezze della tradizione culinaria, delle sue tradizioni. Un unicum, un vecchio mulino ad acqua che manifesta la sua imponenza già a partire dal lontano 1600. D’obbligo la fermata, tra l’altro è sulla strada che porta a salire nel Borgo. Situato in una zona densa di storia, lo si trova nelle campagne a nord-est del paese, nel Vallo del Bovino, zona fregiata dal Cervaro e antico covo di briganti e passaggio strategico della Strada Regia delle Puglie. Conservato in ottime condizioni e unico del suo genere, parliamo del “Moleno d’acqua del ponte”, forse l’unico mulino ad acqua funzionante in Puglia. È entusiasmante fermarsi, traversare il Ponte a sella, dopo aver trapassato la storia di un borgo rurale atto alla sosta delle greggi, e trovare un monumento atto alla macinazione del grano. La rarità e la complessità del complesso rurale, è soavità per occhi e cuore. Un vialetto curato, su cui fa bella mostra un carretto da trasporto, ci porta a varcare una porticina che dà il la ad una musica dalle note dettate da una macina a pietra ben scolpita da chi nella vita non ha mai smesso di desiderare di fare il mugnaio. Si entra in un quadro dipinto di colori che han densità e purezza d’altri tempi. Attrezzi di un tempo che fu che dichiarano la Pace e fungono da storia e legende intrise di relazioni, amori, sapori, affetti, condivisioni. Mai più vero il sogno, anche se desto. La tradizione di famiglia, o meglio, della famiglia Grasso, è il tramando di generazione in generazione. Generazioni che grazie alla forza dell’acqua hanno imposto una sorta di gemellaggio tra la forza motrice, la mola, il tempo, il grano. Un gemellaggio che ha il sapore indefinito, ma mai privo della parola: Vita!

Pensate un po’ la forza del tempo che mai si è fermato nonostante all’epoca non vi fosse energia elettrica ma solo la trazione dovute ad agenti naturali! Incredibile opera di ingegneria rurale che ancora oggi dona splendore ad un perfetto modo di confermare quanto l’Universo abbia in se le giuste risorse in ogni occasione ed in ogni condizione temporale. Evviva! Esclamerebbe Euripide nonostante sia stato, insieme a Eschilo e Sofocle, uno dei maggiori poeti tragici greci. La forza dell’acqua che, a caduta, consente, grazie ad una ruota orizzontale sotterranea, di dar forza all’asse della macina per favorire il lavoro della mola e donar vita al grano generando farina. Antipasto, questo, per godersi il poi del viaggio che ci porta a salire verso il paese.
L’arrivo è di quelli che ti trattengono il fiato e ti ridonano serenità e gioia. La villa comunale, posta allo sguardo dell’imponente maniero, dona la giusta accoglienza. Un passeggio che sa dell’antico quando uomini, donne e bambini, si dividevano le tempistiche della giornata per godersi chiacchiere e scambi di giulività paesana. L’auto diventa un optional e la voglia di estendere il proprio passo verso il centro storico è decisamente forte. Ci si incammina così verso la porta d’ingresso di esso, il volto fa fatica a trovar la stasi. Gli occhi ammirano palpitando il felice iride colorato. L’apoteosi della forza dell’uomo nel realizzare una magnificenza dopo l’altra, è davvero ammirevole. Vicoli sorridenti, al passaggio del visitatore pongono ai portoni dei palazzi, portali dalla struttura architettonica di pregio. Se ne contano centinaia, e mai di effimera fattura. La gente festosamente ti invita ad apprezzare la compagnia, e non ti fa sentir del luogo, uno straniero. Ammaliante è la piazza che ospita il Duomo, vera conferma d’arte e di storia passata. Di fianco l’antica sede Vescovile. La storia significativa del paese, si fa sempre più interessante. Si sale per vicolo stretti, a volte vere trincee scavate tra pietra viva ed opere umane più recenti. Il castello è li ad aspettarci, e farci godere della sua forza virulenta, ma mai fuori dai canoni di bellezza e gratitudine di storia passata nel documentare battaglie vinte, perse o mai combattute. Poi il resto è paesaggio e tradizione. È di questo che vorremmo parlarvi oggi. La tradizione di un popolo che non cancella il passato e lo rende attuale nelle sue forme, sfaccettature, passioni, unioni. La consapevolezza di essere sempre più soli nelle lotte per la sopravvivenza, rende magicamente ancor più sentimento e determinazione, affinché il passato riempia lo spazio vuoto del nostro essere attuali. Ed allora, passando a visitare ciò che non si vede all’esterno, parliamo delle cisterne e, nel venirne fuori, troveremo una Bovino, tra sacro e profano, più affascinante e passionale del centro Sud Italia. Ma prima torniamo nelle viscere delle terra per assaporare l’antico, che spesso e volentieri, ahinoi, da spazio al superfluo terreno. La discesa pare essere comoda ma l’attenzione non può venir meno. La città ci inghiotte e la meraviglia ci porta a definirci “nani”. Nani nel con contemplare a pieno la bellezza che abbiamo custodita da secoli sotto di noi e che mai a pieno, riusciamo a scovarla. Oggi si è felici di farlo. Siamo all’interno delle “Cantine del Cerrato”. Definite il più importante monumento Archeologico sotterraneo di Bovino (unicum in Puglia), si individuano le antiche cisterne pubbliche Romane o i porticati delle Terme. Esse si trovano sotto l’isolato del Centro Storico, ad alcuni metri di profondità, tra Piazza Duomo e Via Torino, in corrispondenza di quella che anticamente doveva essere l’area forense” dell’allora Vibinum, colonia e municipio romano, e conteneva le espressioni urbanistiche dell’età municipale e dell’età imperiale di Bovino. La riflessione al mondo terreno con le sue caducità è d’obbligo. Si torna a pensare e il pensiero non può che essere esaltante, gratificante, magnificente. I resti antichi, accessibili da Via Torino, sono costituiti da 2 vani contigui e perpendicolari, parzialmente tagliati nella roccia e in parte con muri in laterizio, coperti da volte a botte e interamente rivestiti in opus signinum. La guida sicura e competente ci porta ad esagerare ma mai visione più condita di un sogno lontano che ci offre la via per poter concederci un tiepido ritorno verso un mondo che all’esterno vaga e difficilmente consola. Qui ci si sente in Pace e decisamente piccoli. Ne siamo certi, riveder le stelle sarà ancora più bello! Lo scantinato, al quale si accede dal civico 1 di Via Torino, si prolunga per oltre 20 metri, prosegue al di sotto di altri fabbricati e presenta una volta ad arco a tutto sesto di pietrana rivestito con intonaco pozzolanico e impegnata variamente da cunicoli di sfiato, da condotti circolari in muratura e tubi di argilla. Lo scantinato del civico 3 di Via Torino, orientato in senso ortogonale rispetto al primo e con esso in comunicazione tramite cunicoli trasversali, presenta 2 vani molto ampi con volte a botte lunghe 18 metri e 7 arcate poderose sostenute da pilastri.

Le due volte hanno un’altezza complessiva di 5 metri, mentre sia le arcate che i pilastri sono in mattoni di argilla perfettamente stilati con malta pozzolanica. I due ambienti sono collegati con altre strutture antiche lungo l’asse oggi rappresentato da Piazza Guido Paglia, Piazza Duomo e Piazza Marino Boffa. Chissà se un tempo il Foro della Città, sorgesse proprio li. Tutto ci fa pensare che si tratta, probabilmente, di cisterne collegate con l’approvvigionamento idrico della città, forse bacini di decantazione all’arrivo dell’Acquedotto Romano, i cui resti aerei sono ancora ben visibili, a pochi chilometri dall’abitato, lungo la strada da Bovino a Panni.

Partendo dalle Cantine Cerrato, le ricerche mai ultimate, hanno individuato una serie di cisterne Ipogee sconosciute, anch’esse di età Romana e utilizzate a suo tempo per la raccolta delle acque. L’archeologo Valentino Romano ne è certo «Sono tutte ravvicinate e collegate tra loro, e assicuravano, con un sistema di pendenze e vasi comunicanti una cospicua riserva di acqua ai cittadini dell’allora Vibinum, colonia Romana. La cosa interessante è che in alcuni condotti esplorati tutt’ora scorre acqua, cosi come in altre cisterne “inedite” che, ad oggi, sono anch’esse piene di acqua: L’Acquedotto Romano, in pratica, funziona ancora». Ma è sera, le stelle aspettano che si torni a respirare l’esterno per indicarci un’altra storia, un altro viaggio diverso dal solito, da quello per cui Bovino senza dubbio, è una delle perle più luminose del Subappennino Dauno. Usciamo e ci sembra tutto diverso. Ormai l’occhio e la mente sono proiettati verso un mondo che oltre la bellezza, offre cultura e passioni, di esse diversificate. Un palazzo signorile, enorme per un Borgo come quello di Bovino, dalla colorazione anomala ma contestualizzata, ci indica essere la sede del Municipio. Entriamo sicuri di non sbagliare. A tutto un perché! La guida, sempre coerente con le note del “Rossomandi”, ci esalta con la prosa musicale del cigolio di imposte che nascondono occhi pronti a strizzar le palpebre di orgoglio e di sapiente armonia. Non manca lo stupore olfattivo, dettato da succulenti piatti, atti a sfamare palati tornati a casa, dopo una giornata di intenso lavoro. Entriamo e…, altra sorpresa! Un vero museo delle armi ci aspetta. Incredibile la cura, la selezione, l’arredo, la precisione dell’esposizione. Inaugurato di recente, nel contesto di essa, una telefonata del Presidente Mattarella, ebbe a far da ciliegina sulla torta. Una collezione privata del compianto “Libero Renato Procaccini”, donata al Comune in segno di eterno amore per la libertà e la “Pace”, nonché per la propria terra. Tra le prime tre collezione d’Europa, si mostra nella sua imponenza nel condizionare cognizioni che assumono proporzioni gigantesche nel paradigma silenzioso delle scelte e degli idiomi, a sembrar diversi dal pensiero di Pace. “Non c’è Pace se non si assapora la guerra, anche se, si spera, solo nel Cuore”, è ciò che ci sentiamo di affermare stanti nel corridoio pieno di mitraglie, cannoni, proiettili colorati di “Vita”. Il tragitto è breve ma intenso. La spiegazione scritta sarebbe non cognitiva senza una visita. Si esce, ormai è sera tarda. Avremmo voluto parlarvi di tradizioni, forti e sentite in Bovino, lo faremo nei prossimi numeri della rivista. Ormai l’appetito è sempre più deciso e non domabile. Unico domatore possibile, non a caso, è Nicola Consiglio, titolare di un’eccellenza straordinaria e difficilmente comparabile La Piana delle Mandrie. Il sapore della bellezza scenica si accompagna all’incredibile bontà dei suoi prelibati piatti della tradizione Bovinese. Che dire! È ora di sedersi a tavola e pensare di essere catapultati nel concetto di Biodiversità più puro e sincero. L’ambiente è decisamente al passo con la tipologia della struttura. Pietra, legno, colorazioni appetibili verso il Leopardiano “Infinito” dove – Sempre caro mi fu quest’ermo colle e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude .…… E come il vento odo stormir tra queste piante, io quello infinito silenzio a questa voce vo comparando ……… e il naufragar m’è dolce in questo mare. – E, l’Infinito sarà da lì a presto servito. Nicola, un simpatico Agri chef, così ama definirsi, è pronto a lasciar andare la sua maestria verso un traguardo fatto di sapere e sapori. Narra il territorio e lo mette a confronto con realtà sempre più lontane, una tra tutte : la modernità. Non devi aver fretta per sentir goder le papille gustative, al suon di antipasti locali fatti di formaggi freschi, stagionati, salumi, frittatine alle erbe spontanee, latticini freschi fatti al momento e dar loro, il senso della genuinità mai rarefatta dalla tempestività di un tempo presente che corre verso l’incognito, e mai trova l’Infinito. Poi primi di pasta fresca condita con sughi dalle lunghe ore di bollitura e squittio, come soave canto di uccelli che ammirati si dimenano per trovar giusta la posizione dello sguardo. “Ah rimirar lontano ci porterà a veder le stelle”. Ancora la poesia ci prende gusto a donar la voglia di essere del cibo fratelli, figli e mai estranei. Nicola è sempre li, “vigile” con il blocchetto dell’ordinazione pronto a multare chi del gusto ne fa un sol boccone. Occorre sentir parlare la mente per goder dell’eccellenza. La fretta non è di casa alla Piana delle Mandrie. Ormai è notte, gli occhi fanno capolino verso un “terzo mondo”, quello dell’ospitalità diffusa, dove la ricettività è sinonimo di comodità e sogni, per un risveglio sempre più “Infinito”. Il dolce della casa, non guasta il sapore del vino tanto da accompagnarsi a riverenti saluti pieni di gioia. Il centro Storico ci ridona la calma del passeggio e le porte di un lussuoso ma “sincero” B&B si aprono. Una veloce visita al Palazzo, ex Ufficio dell’antico Ufficio Postale, alla Piazza “Conti di Loretello” che spaziarono tra le Puglie ed il Molise dando il nome alla Rotello Molisana, ed alla stupenda chiesa di “Santa Maria delle Grazie” adiacente ad una delle porte d’ingresso del Borgo, una sorta di vigilia del “sonno ristoratore” e la copiosità del bello – siamo al B&B “La Posta”-, quest’ultimo insito anche alla “Residenza Ducale” all’interno del Castello, ed alle molte altre strutture ricettive, ti premia con un risveglio, che dai tetti dell’Antica “Vibinum”, sa di nuova linfa per una vita tutta da rivedere, da ricominciare. Bovino ti fa sognare e il sogno, al suo svanire, ti permetterà di tornare a riflettere sulla voglia di essere e con le fantastiche prose di Shakespeare, poter tornare a sperare che la vita non sia più una scelta tra il Vivere ed il Morire, ma una costante del “Vivere”. “Essere o non essere, questo è il dilemma: se sia più nobile nelle mente soffrire i colpi di fionda e i dardi dell’oltraggiosa fortuna/ o prendere le armi contro un mare di affanni/ e, contrastandoli, porre loro fine? Morire, dormire …… nient’altro, e con un sonno dire che poniamo fine/al dolore del cuore e ai mille tumulti naturali di cui è erede la carne: è una conclusione da desiderarsi devotamente”. Ora è tempo di tornare, e alla prossima per parlar ancora di te senza dimenticare dei magnifici dolci ed il gelato di Celestino, mai domo al tempo e sempre attento ad essere gentile e dolcissimo quanto basta! •