Nella cultura popolare del mondo contadino con l’Epifania (corruzione lessicale in Befana=Bifanìa-Befanìa), si conclude il lungo ciclo festivo natalizio, nel quale un momento importante è rappresentato dalla grande festa di Capodanno che segna, in modo ineluttabile, la base per il computo del tempo, inteso come dimensione socio-culturale, storicamente stabilita dagli uomini per definire soprattutto la dimensione della propria esistenza e, quindi, la storia in cui, di fatto, gli stessi uomini sono protagonisti con il loro agire. La festa intesa come pausa dal lavoro impiegato per la produzione di beni, da consumare durante il periodo festivo, svolge le stesse funzioni di scansione e organizzazione del tempo che, in particolare nel passato, strutturava con le variazioni climatiche stagionali il sistema economico e produttivo delle società agro-pastorali. Per contro, nell’attuale scansione stagionale del tempo l’odierno macrosistema produttivo industriale e postindustriale ormai non è più condizionato dalle modificazioni climatiche delle diverse stagioni. Pertanto, la novità percepita è la forte accelerazione delle trasformazioni e modificazioni di di Vincenzo Cocca N gusti e interessi indotti dai moderni sistemi di elaborazione e formazione delle coscienze individuali e collettive costantemente bombardate da moderni apparati di comunicazione di massa, ormai strutturati con sistemi elettronici i cui messaggi si diffondono con la velocità della luce.
Dalle culture popolari del passato persistono le concezioni generali di alcune grandi feste stagionali adeguate alle nuove istanze dell’attuale sistema economico connesso soprattutto alle diverse forme di turismo, in cui quello religioso non è meno importante di quello ambientale e culturale. Nei primi mesi dell’anno, in numerose comunità d’Italia e del mondo a cultura occidentale, sono ancora presenti due importanti momenti festivi istituiti in epoca umanistico-rinascimentale, in una realtà economico-produttiva di tipo agricolo e mercantile: sono la festa di sant’Antonio abate con l’accensione di falò e il Carnevale. Come è noto si tratta di feste che hanno differenti derivazioni storico-istitutive con risvolti sociali anch’essi differenti; la prima è connessa al vasto patrimonio delle culture popolari che si collocano nell’ambito religioso e che, in quanto tali, sono molto conservative e quindi seguono lente trasformazioni e oculati adeguamenti indotti dalla Chiesa. Il Carnevale è sostanzialmente una festa laica, sebbene possa derivare da antichi culti precristiani; attualmente si colloca facilmente come attrazione turistica nell’odierno sistema economico, nel quale il turismo costituisce una voce molto importante dell’economia nazionale.
Tra le feste dell’inizio dell’anno, suscita una particolare devozione popolare quella di sant’Antonio abate che cade tra il 16 e il 17 di gennaio. In numerose comunità, a questo santo sono dedicate diverse chiese gestite da confraternite di laici che ne conservano il culto e le tradizioni festive. La figura di sant’Antonio abate si situa storicamente nell’ambito dell’ascetismo anacoreta del primo Cristianesimo, formatosi in Egitto nella seconda metà del III secolo; tuttavia, il culto si diffuse in Europa soltanto nell’XI secolo quando, in occasione della traslazione delle reliquie del santo, si interruppe una grave pestilenza, l’herpes zoster, dai cronisti del tempo chiamata ignis sacer. Il popolo e il clero di allora, infatti, considerarono l’avvenimento come un miracolo, amplificando così la fama dei poteri taumaturgici del santo, già noto per aver sconfitto le «tentazioni» del demonio, per aver compiuto numerosi miracoli e per aver concesso particolari «grazie» a chi lo invocava. Fra l’altro, è opportuno precisare, per cogliere le qualità devozionali a lui riconosciute soprattutto dalle popolazioni agro-pastorali, che lo stereotipo iconografico più diffuso di sant’Antonio riproduce un vecchio eremita che ha accanto un maialino ed altri animali da cortile; da qui l’elaborazione della fama di protettore degli animali oltre che di terapeuta miracoloso. In numerose comunità, il 16 gennaio la vigilia della festa ancora oggi vengono accesi i falò che richiamerebbero simbolicamente l’esantema dell’herpes zoster o ignis sacer, un’affezione virale che provoca febbre alta. Secondo gli storici delle religioni, i falò rimanderebbero a culti e riti propiziatori precristiani compiuti in occasione del solstizio invernale nel quale si credeva che il sole rischiasse di non riapparire. La pratica dei falò è abbastanza diffusa; ad essa è possibile connettere una certa assimilazione sincretica compiuta dalla Chiesa; infatti, è adottata insieme al controllo culturale, nel quadro della liturgia ufficiale e quindi incanalata con la devozione dei fedeli per il santo che si rinnova costantemente, secondo canoni e schemi rituali tradizionalmente prefissati. Diversi giorni prima del 16 di gennaio, i componenti dei comitati organizzatori si ritrovano per raccogliere, nelle campagne circostanti, una grande quantità di legna per accatastarla; in genere, si tratta di grossi tronchi di alberi secchi, di fascine composte da frasche di cespugli, appositamente preparate per alimentare le fiamme dei falò. L’operazione rituale che ne avvia l’accensione è condotta dai sacerdoti che reggono le parrocchie delle comunità nelle quali si festeggia il santo e al quale è dedicata una chiesa.
Dopo la celebrazione di una messa vespertina, il parroco, accompagnato in processione da un corteo di chierichetti, di confratelli e di consorelle della relativa confraternita, compie tre giri in senso orario e altri tre in senso antiorario intorno alla catasta che benedice, fermandosi ad ogni giro per quattro volte, in corrispondenza dei bracci di una croce ideale. Alla conclusione del rito della benedizione alcuni confratelli, appositamente delegati, appiccano il fuoco in più punti della catasta, dove sono state sistemate le fascine per avviare le fiamme. A seconda dell’andamento iniziale del fuoco, la folla che assiste trae buoni o cattivi auspici. Per esempio, nel passato, quando il sistema produttivo era agro-pastorale, si credeva che l’accensione rapida del falò presagisse una buona annata; al contrario, tentennamenti nello svilupparsi delle fiamme o lo spegnersi dei primi focolai venivano interpretati come segni di possibile carestia. Attualmente, nella società dei consumi e del benessere, persiste ancora come costante simbolica l’ideologia della propiziazione e della relativa richiesta di «grazia» trasferite, però, soprattutto verso la sfera della salute.
Sebbene attualmente sia una festa completamente laica, come si è prima accennato, il Carnevale rimanda ad antichi culti precristiani quali erano, nella Grecia classica, le feste in onore di Dioniso, la divinità dell’ebbrezza provocata dal vino e, nell’antica Roma, i saturnalia celebrati con riti orgiastici, con la sovversione dei ruoli e dell’ordine sociale per realizzare «il mondo alla rovescia»; per esempio, gli schiavi durante i saturnalia potevano considerarsi liberi e padroni. Dopo il Medioevo e il connesso periodo di forte moralizzazione e di penitenza voluto dalla Chiesa medievale, si è verificata una profonda rivoluzione culturale e sociale, a partire dal recupero, avvenuto tra il ‘300 e il ‘500 con l’Umanesimo e il Rinascimento, delle tradizioni della cultura classica e del vasto patrimonio della letteratura teatrale greca e romana; questo recupero ha permesso di ritrovare notizie sulle maschere del passato oltre che sulle antiche feste che contrassegnavano l’anno nel mondo precristiano. La rivoluzione sociale dello sviluppo economico rinascimentale, in particolare nell’Italia del ‘500, ha provocato l’avvio dell’organizzazione delle feste carnevalesche come forme di spettacolo popolare spontaneo. Da qui il Carnevale, in quanto festa trasgressiva in modo episodico, limitata in un preciso periodo dell’anno viene praticata da tutti soltanto in forma simbolica; si è così diffusa in tutti i ceti sociali coinvolgendo aristocratici e plebaglie di servi. Si deve essere coscienti, però, che la sovversione dei ruoli e dei ceti sociali è valida soltanto per il tempo di Carnevale; alla conclusione della festa tutto torna come prima: il nobile torna al suo ruolo di padrone e il servo plebeo torna a fare il servo e il domestico.
Si deve considerare che, in tale fenomenologia storico-sociale, anche il Carnevale, così come avviene per tutti i fatti culturali, subisce processi di rifunzionalizzazione e di adeguamento alle variazioni delle circostanze economico-sociali; pertanto, nel corso degli anni, sia le maschere, sia la stessa dinamica delle rappresentazioni carnevalesche delle diverse zone e regioni, pur conservando costanti alcune strutture formali caratterizzanti, si adeguano al mutare dei tempi e dei relativi gusti simbolici ed estetici. Quindi, sebbene siano ormai standardizzati gli aspetti formali di alcune maschere definibili tradizionali, come per esempio Arlecchino, Pulcinella o Pierrot, le attuali messe in scena dei grandi carnevali sono spettacolari esibizioni teatrali collettive che devono attirare spettatori e, quindi, mettere in moto un enorme giro di affari e di capitali connessi all’industria turistica. In questo senso, carnevali famosi come quello di Rio de Janeiro e di Viareggio sono esempi abbastanza emblematici che ormai costituiscono modello per l’organizzazione anche di carnevali di tipo tradizionale, nei quali si conservano con maggiore fedeltà i modelli del passato; anche in questi casi la proposta carnevalesca è realizzata come spettacolo per turisti e visitatori che vanno ad assistere alle loro esibizioni. Per esempio, tale fenomeno ormai si verifica anche in carnevali abbastanza tradizionali come quello dei Mumuthones a Mamoiada e dei Boes e Merdules ad Ottana in Sardegna. Sfilate spettacolari organizzate per grandi folle di spettatori che assistono ai bordi di lunghi ed ampi percorsi sono attualmente organizzate da Pro-loco, associazioni culturali, enti turistici che ricevono finanziamenti dagli assessorati alla cultura regionali e comunali. Con fastose sfilate di carri allegorici i più noti sono, in Piemonte il Carnevale di Ivrea, caratteristico per la battaglia delle arance e quello di Rocca Grimalda; in Lombardia, il Carnevale di Bagolino; in Veneto, quello di Venezia caratteristico per maschere del ‘700 che rimandano a quelle teatrali; nelle Marche è caratteristica la sfilata dei carri del Carnevale di Fano; in Campania quello di Montemarano; in Puglia sono particolarmente spettacolari i carri allegorici di Manfredonia e di Putignano; proprio qui si ritiene siano stati i primi ad aver utilizzato la tecnica della cartapesta per realizzare le gigantesche statue satiriche di Carnevale; in Sardegna, ad Oristano la spettacolare giostra equestre della Sartiglia; in Sicilia, il Carnevale di Sciacca e di Acireale nei quali ci sono grandi sfilate di maschere e di carri allegorici. In tutti questi carnevali, la struttura portante degli spettacoli, nella maggioranza dei casi, è costituita da i carri allegorici che sfilano accompagnati da figuranti attori vestiti in maschera in un ampio palcoscenico costituito da lunghe strade o viali cittadini; i canovacci degli spettacoli sono gli addobbi dei carri, i mimi e canti dei figuranti, sempre basati sulla satira sociale e politica. In pratica, vengono realizzate messe in scena con canovacci sostanzialmente stereotipati che non conservano l’antica vivacità delle battute e delle azioni improvvisate carnevalesche delle maschere della Commedia dell’Arte.