Nella condizione di natura gli uomini nascono nudi, quindi privi di qualsiasi protezione soprattutto nei confronti del clima, nei confronti del quale devono adattarsi con appositi espedienti da loro elaborati grazie all’inventiva espressa con la cultura; da qui derivano le varie tipologie di ripari e di indumenti. A questi, in base ai differenti processi di organizzazione e sistematizzazione dei diversi gruppi di genere, parentali, sociali ed etnici, sono state attribuiti particolari funzioni simboliche e distintive in modo tale che l’abbigliamento esprimesse e comunicasse l’appartenenza o meno ad una determinata categoria o gruppo sociale ed etnico, al fine di individuare soprattutto le «alterità» e le «distinzioni/differenze». Pertanto, con gli abiti, gli ornamenti e una vasta serie di segni e simboli, tra i quali i tatuaggi, che sono in pratica abiti incisi o dipinti sulla pelle, nelle diverse culture, gli uomini si sono sempre distinti e differenziati tra di loro; una data comunità elabora segni espressi in abbigliamenti ed ornamenti differenti da quelli delle comunità vicine; determinati gruppi sociali ed individui stabiliscono di differenziarsi dagli altri per status e ruoli. Vesti, specifici ornamenti e segni, in particolare nel passato, servivano e servono ancora oggi, in tutte le culture, a distingue e classificare uomini e donne nei rispettivi status, ruoli sociali e civili, tra i quali rientrano quelli di celibi e nubili, di sposati e sposate, di vedovi e vedove. Ancora oggi si distinguono, tramite un abbigliamento adeguato a determinate funzioni assolte, determinate gerarchie sociali nei relativi ruoli socio-funzionali di egemonia e subalternità. Per esempio, si può rilevare come le divise dei vari corpi di pubblica sicurezza (carabinieri, finanzieri, guardie carcerarie, guardie municipali, ecc. ) costituiscano specifici indirizzi di competenze e di ruoli che essi svolgono con particolari funzioni istituzionali; inoltre, nel loro ambito, le gerarchie militari sono specificate tramite segni espressi dai gradi, intesi come simboli di comando, applicati in appositi punti convenzionali delle differenti divise.
Si deve precisare che, negli ultimi tempi, sulla nozione di identità si è sviluppato un ampio ed articolato dibattito; si è così arrivati ad una definizione abbastanza condivisa nella quale l’identità culturale è intesa non come un dato statico, ma come un processo, come una realtà dinamica in continuo movimento, oltre che come una rappresentazione collettiva definita e stabilita tra i componenti di una cultura e tra questi ed altri che costituiscono il mondo esterno e che appartengono ad altre culture e con i quali si confrontano.
A fornire un particolare contributo per perfezionare tale definizione, nel 1974-75, nell’École des Hautes Études des Sciences Sociales, Claude Lévi-Strauss aveva organizzato un apposito seminario per trovare risconti su quanto al riguardo aveva sostenuto nel 1967 nel noto lavoro Razza e storia e altri studi di antropologia. Negli atti di quel seminario, pubblicati in Francia nel 1977 Cristopher Croker così sintetizza le forme e i sistemi che i Bororo dell’Amazzonia (oggetto particolare di ricerca e di studi condotti da Lévi-Strauss) avevano adottato per rappresentare la propria identità personale ed etnica, impiegando ornamenti, tatuaggi ed abbigliamenti: «Ciascun clan Borro possiede centinaia di ornamenti particolari, ciascuno dei quali con uno stile unico e con una sua propria fattura: i copricapo di penne, i braccialetti, gli anelli del labbro, le cinture, gli archi e le frecce forniti di ornamenti, le collane di penne, di denti o di unghie, i randelli, i dentaioli, i tamburi e gli altri strumenti, gli orecchini, i disegni fatti sul corpo e tante altre cose … Questi addobbi costituiscono la fortuna del clan, la sua proprietà sacra, e i diritti su questi beni vengono conservati gelosamente … E ancora oggi la connessione tra un ornamento e la categoria sociale che lo possiede è così stretta ed evidente che la maggioranza dei maschi adulti riesce ad identificare il clan, il sotto-clan e anche il gruppo di nomi di un estraneo, grazie agli ornamenti che egli ha indosso» (Croker, p. 159).
Da questa citazione si coglie che l’identità viene espressa, nella dimensione sociale collettiva, da simboli significanti tra i quali, oltre alla lingua, vi sono gli ornamenti e gli abiti che gli uomini indossano oltre che per coprire il corpo, a seconda delle condizioni ambientali, anche per distinguersi da altri e, quindi, per identificarsi. L’identità di un uomo e di una comunità è espressa e rappresentata sia dall’aspetto fisico, sia dall’abbigliamento che copre e adorna il corpo. L’esempio dei Bororo riportato da Croker è di fatto uno degli innumerevoli esempi di identità etnica nella quale si coglie, in modo chiaro, il rapporto di «natura e cultura», nella misura in cui il corpo è natura e gli ornamenti sono cultura socialmente definita e condivisa.
Nella storia degli abbigliamenti elaborati dalla cultura occidentale, nel contesto dei ceti popolari, una svolta importante è avvenuta in epoca rinascimentale in coincidenza con l’impiego della polvere da sparo e la relativa trasformazione delle strategie belliche; prima dell’impiego dei cannoni e dei diversi tipi di armi da fuoco che, come è noto, impongono soprattutto scontri di posizione, in modo tale che il nemico venga colpito da proiettili, per molto tempo le guerre sono state condotte tramite scontri campali con armi bianche. Ciò ha determinato che le truppe dei diversi campi avversi fossero appena riconoscibili da qualche elemento distintivo come per esempio gli elmetti, in quanto sovrastanti il capo dei soldati e per questo facilmente individuabili. Inoltre, nel Medioevo, si giunse a perfezionare la difesa realizzando corazze metalliche che ricoprivano completamente il corpo. Con le armi da fuoco è necessario individuare e distinguere da lontano le truppe amiche e quelle nemiche verso le quali sparare. Questa situazione impose di caratterizzare e individuare facilmente, con apposite divise, i diversi eserciti. A partire dal Seicento le divise militari sono state ornate da ricami e guarnizioni. I modelli delle divise furono facilmente ripresi nell’abbigliamento popolare. Infatti, i ricami e le decorazioni delle divise, in gran parte dell’Europa e delle regioni italiane, sia a livello urbano, nel quadro delle corporazioni di mestiere, sia in ambito rurale, sono stati assunti come strutture segniche per realizzare soprattutto capi dell’abbigliamento da festa.
Questa sintetica premessa consente di proporre qualche considerazione sull’abbigliamento e gli ornamenti tradizionali dell’Avellinese e del Molise, sui quali da tempo è stata prodotta una vasta letteratura, e che caratterizza, sul piano visivo e simbolico, l’identità delle comunità di quelle zone, nella misura in cui ciascuna ha il suo cosiddetto «costume tradizionale», utilizzato ancora oggi soprattutto in occasioni festive: sagre, feste patronali, matrimoni, ecc.. Fino ad un recente passato (i primi decenni del ‘900), però, soprattutto nelle comunità rurali, l’abito serviva a distinguere l’identità sociale dei tre stati civili, mentre nei grandi centri urbani le corporazioni, dal canto loro, si distinguevano l’una dall’altra in virtù dei differenti abiti che rispettivamente indossavano per feste e giorni feriali. Inoltre, gli abiti segnavano le circostanze significative di passaggio da uno status all’altro del ciclo della vita, poiché erano diversi quelli impiegati nel quotidiano dagli abiti utilizzati nei momenti cerimoniali; questi ultimi, rispetto ai primi, erano più ricchi di colori e di ricami con stoffe più preziose. Questa costituiva una qualità particolare dell’abbigliamento femminile, in quanto i colori vistosi e le fogge particolari, oltre ad avere funzioni estetiche, dovevano costituire motivo di richiamo e di facile individuazione ed identificazione; ovvero, nelle feste popolari intercomunitarie alle quali partecipavano gruppi di giovani provenienti da più paesi, dal costume si doveva facilmente individuare di quale comunità fossero le fanciulle presenti. Ciò agevolava sia l’esogamia (i matrimoni tra giovani di comunità vicine), sia il controllo delle donne da parte dei maschi del paese di origine.
Ancora oggi, nei centri agricoli dove le famiglie conservano le diverse tradizioni del passato, gli indumenti del costume femminile vengono ereditati da madre in figlia; spesso, quando le eredi sono numerose vengono spartiti i diversi capi che vengono reintegrati commissionando a sarte specializzate le parti mancanti al fine di ricomporre i costumi. Nel passato, gli abiti da festa femminili costituivano una parte fondamentale del corredo per la realizzazione del quale erano necessari tempi lunghi e parecchi soldi per acquistare le stoffe, in diversi casi, prodotte fuori dall’isola.
La distribuzione dei colori, dei ricami e delle decorazioni, sia negli abiti femminili, sia in quelli maschili, decisamente più sobri, come si è già accennato, costituisce l’espressione emblematica e simbolica dell’identità di ciascun paese. Sebbene i colori fondamentali siano il giallo, il rosso, l’azzurro turchese, il verde, il mero e il bianco, ciascuna comunità li combina e li accosta seguendo i propri gusti, realizzando, per i diversi capi, strutture geometriche e floreali particolari. Le combinazioni e gli accostamenti cromatici costituiscono una specifica forma di comunicazione sociale valida ad esprimere, all’interno ed all’esterno del proprio orizzonte di appartenenza a cui il singolo individuo si ascrive: ogni abitante di un paese si riconosce nei colori del proprio costume ed è riconosciuto dagli “altri” delle comunità vicine.
Gli aspetti generali dell’abbigliamento radizionale fin qui sintetizzati conducono alla conclusione alla quale si è già fatto cenno; gli abbigliamenti, nel passato così come oggi, hanno funzioni distintive, simboliche e di comunicazione tanto che risulta valido il detto che è l’abito che fa il monaco e non il contrario; infatti è il saio che diventa divisa del monastero e dell’ordine o della congregazione a cui appartiene il “monaco”. In sostanza, anche nella società postmoderna, l’abito è un distintivo che serve comunque a definire il proprio censo e soprattutto il ruolo che un determinato individuo assolte in un particolare momento; oggi spesso le distinzioni non sono troppo evidenti comprese quelle di genere. In tutti casi, però, l’abbigliamento varia in base ai contesti; per esempio, gli abiti impiegati in casa, sono diversi da quelli usati nei ruoli pubblici, così come quelli festivi e dei giorni feriali.
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Bibliografia sull’abbigliamento
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