La cantata dei mesi, tra riti apotropaici e propiziatori

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«Io so’ Capuranno e so’ cap’e gl’anno E, cap’e gl’anno, chistu juorno aspetto»

Nella cultura popolare la festività del Carnevale è una tra le più antiche e durature. Le significative variazioni, dovute al trascorrere dei secoli, non ne hanno modificato il carattere strutturale. Se oggi è soprattutto una delle feste preferite dai bimbi, il Carnevale racchiude in sé significati molto “complessi”. Con lo scherno si esorcizza la paura del nuovo anno appena entrato; in pratica, è la paura del futuro che incombe con tutte le sue incertezze. Il Carnevale celebra la morte dell’inverno e la rigenerazione propria della primavera: il risveglio della natura (si tratta probabilmente di antiche eredità delle romane Calendae di marzo). Raffigura un mondo rovesciato (da qui la derivazione dai Saturnalia romani) che tende ad annullare le distanze gerarchiche. Rappresentando una sorta di rinascita, il Carnevale assume un aspetto calendariale e la Cantata dei Mesi rappresenta un’allegoria tesa ad omaggiare «Madre Natura» per ciò che offre agli uomini nel susseguirsi delle stagioni. La vita di contadini e pastori, dipendente dalla bontà della Natura, da cui ne traggono nutrimento e sostentamento, inizia così pian piano ad essere scandita da un evento che tende a festeggiare la fine dei mesi più duri dell’anno. Tra i riti più importanti del Carnevale ci sono quelli dedicati al tempo. Uno di questi è appunto la Canta dei Mesi, una delle rappresentazioni teatrali popolari più diffuse, inserite nella ritualità del Carnevale.

In Campania, dove il folklore è ancora abbastanza vitale, l’usanza rappresenta una delle tradizioni più forti e sentite. Nei secoli passati, aveva una funzione apotropaica, in quanto serviva ad iniziare il nuovo anno evocando buoni auspici. Ad esso era legata anche la cosiddetta questua che aveva la funzione di ristabilire la condizione economica equilibrata delle arcaiche comunità. La Cantata dei Mesi a Carnevale è praticata in quasi tutte le regioni italiane. Le variazioni sono ovvie, in quanto si rifanno all’anno agricolo di ogni particolare zona e regione. Alcuni mesi risultano simili, hanno gli stessi oggetti; in pratica, si dicono e si cantano cose simili; in altri casi differiscono riportando le condizioni del tempo solare di un determinato mese; le condizioni del tempo atmosferico che sono valide in un determinato luogo a giugno, in un’altra realtà ambientale si riscontrano a luglio. Quindi queste differenze climatiche modificano, nei diversi contesti, il Canto dei Mesi. In alcune zone, i mesi, viaggiano a piedi, in altre cavalcano animali, in altre ancora vanno su carri.

Ogni comunità conserva i propri testi dei canti e le relative rappresentazioni; tuttavia, in quasi tutte le tradizioni emerge dominante la figura di Capodanno. Nelle sceneggiate emerge il ruolo di un re, vestito con abiti sfarzosi che contribuiscono a raffigurare la regalità e il relativo potere. Per contro, viene rappresentato un servo che simboleggia la dipendenza dal potere regale. In contemporanea compaiono nella scena carnevalesca i dodici mesi che personificano il tempo con le loro sceneggiate. Nell’insieme compaiono altri quattro personaggi mascherati che rappresentano le stagioni.

Insieme a loro vi sono due paggi, Arlecchino (al nord) o Pulcinella (al sud); entrambi sono sarcastici al punto giusto e in questo modo rappresentano l’unica difesa alle prepotenze subìte. Non manca, ovviamente, l’accompagnamento musicale con fisarmoniche, chitarre, violini e mandolini.

Il fatto che la “Cantata dei Mesi” si svolga nel periodo di Carnevale, secondo alcuni, è da individuare al retaggio del calendario dell’antica Roma nel quale l’anno iniziava a Marzo. In tale suddivisione annuale, pertanto, i mesi non erano 12, bensì 13. La cantata, infatti, prevede ru mese annascusu (mese nascosto) che può essere considerato il mese “Mercedonio”, introdotto per pareggiare gli squilibri con il calendario lunare e poi sostituito con la riforma di Cesare con l’anno bisestile.

Nei canti, la metrica è prevalentemente composta da ottave di endecasillabi, tranne che per i personaggi di Pulcinella; anche per i personaggi di Capodanno e di tutti gli altri mesi i canti sono in ottave di endecasillabi. Questi, spesso, in bocca al popolo s’accorciano o si allungano. Bisogna rilevare che nel caso di versi con una sillaba in più non sono da confondere con la metrica ad endecasillabo sdrucciolo che è correttamente formato da 12 sillabe. Per quanto riguarda, invece, le rime e le assonanze, in realtà, manca uno schema preciso: ogni strofa presenta più o meno assonanze e/o rime.