La Pasqua in tavola: Alcune tradizioni della cucina d'Abruzzo

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La cucina abruzzese offre spunti di riflessione, oltre che un grande gusto nell’affiancare sapori e profumi che inebriano le case durante la preparazione dei piatti di Pasqua.

Difficile elencare e descrivere la varietà dei piatti tradizionali del periodo pasquale in questa regione, se ne suggeriscono alcuni i cui ingredienti si collegano strettamente con alimenti legati ai percorsi della tradizione devozionale. - Una pasta dolce foggiata a cavallo, a uccello, a pupattola, cotta con un numero più o meno grande di uova incastonatevi e fermate con treccioline della stessa pasta, per lo più con una vernice di zucchero, e con piumine e brizzolature di oro e di colori vari, secondo i luoghi, è chiamata Cavalle, Castèlle, Palombella (Aquila, Celano, Pescina), Pijòne ( Fara s.Martino), Pizzacole (Teramo) - così descriveva i dolci preparati per la Pasqua Gennaro Finamore in Credenze, Usi e Costumi Abruzzesi pubblicato nel 1890. In tutta la nostra penisola la tradizione gastronomica pasquale si dipana intorno a ingredienti o a preparazione di dolci e pietanze che hanno come comune denominatore il senso della rinascita della natura e di Cristo. In Abruzzo, in area teramana, la partecipazione ai riti religiosi della Settimana Santa si affianca a quella della ritualità dell’allestimento dei cibi pasquali come la “pizzacola”. Il dolce prevede più lievitazioni e rimpasti anche notturni e, solitamente, viene preparato il venerdì per essere consumato la domenica pasquale. I ritmi della devozione sembrano legarsi, silenziosamente, a quelli alimentari della tradizione.

La notte, le ore del buio e delle tenebre nelle quali si assiste alla processione della «Desolata», sottolineano l’attesa delle ore più chiare, del ritorno a casa, della lievitazione avvenuta. Dalle buie ore della morte corporale di Cristo, si attende la rinascita nel rito liturgico come in quello alimentare: dopo il digiuno del venerdì si consumeranno i cibi preparati per Pasqua.

In molte famiglie si ripete, in questa circostanza, la consueta abitudine di approntare “la pizzacola” secondo le proprie ricette. È ancora in uso di regalarla, poiché se ne cuociono numerose, e di riceverne proferendo poi giudizi positivi o negativi in merito alla cottura, alla lievitazione e al condimento nell’ambito del non dimenticato rapporto di interscambio alimentare tipico delle società contadine. Il dolce, spesso, racchiude all’interno un uovo, simbolo pasquale e anche simbolo della vita e, in questo caso, di rinascita - Mia suocera preparava ancora la pizzacola con la farina, lo zucchero, il lievito e quello che serviva. Metteva l’uovo fresco sulla pasta della ciambella prima di infornarla, l’uovo si cuoceva e lei diceva che faceva questo per tradizione (Rosanna, 2005) -. La “pizzacola” deve lievitare più volte, secondo le antiche ricette delle mie informatrici intervistate qualche anno fa - Ricordo che, da piccola, mia nonna faceva lievitare le pizze di Pasqua, tra il 1950 e il1960, la notte. Le metteva ne “lu predde” (il prete) [un attrezzo che serviva a tenere sospese le coperte del letto perché accoglieva al suo interno lo scaldino con la brace] e noi bambini passavamo la nottata sul un giaciglio di fortuna (Vincenzina, 2005) -. Sarà uno degli alimenti benedetti, poiché era ed è tradizione far benedite le pizze dal sacerdote, consumati la mattina della Resurrezione insieme a uova, a salumi e “mazzarelle” piatto tipico della cucina pasquale teramana. La colazione del mattino di Pasqua, dopo il digiuno notturno e l’osservazione dei limiti della Quaresima che prevedeva l’astensione dalla carne e dai dolci, coniugava l’uscita dal periodo magro per augurarsi ed augurare a tutti il seguente periodo di abbondanza con la rinascita della vegetazione. Si mangiavano così tutti gli alimenti importanti per un seguente benessere: uova, carne di agnello, carne di maiale, verdure, dolci. Nel celebrare la rinascita di Gesù si festeggiava la beneaugurante rinascita delle piante.

Le mozzarelle, infatti, sono involtini preparati con interiora di agnello e profumi dell’orto, avvolti in foglie di lattuga o indivia e legati con le budelline dello stesso animale. Vengono cotte al forno o in umido, secondo le abitudini familiari. Questa tradizionale colazione di Pasqua viene oggi praticata da pochi, mentre persiste l’uso, nei paesi più che nelle città, di portare a benedire le pizze. Sui banchi delle chiese si materializzano d’incanto una dopo l’altra, come un corteo profumato che il sacerdote asperge di acqua benedetta. Le uova sode, una volta dipinte, decorano la tavola di Pasqua, le altre occhieggiano dalle strisce di pasta che le trattengono nella pizza a forma di ciambella.

La preparazione della pizza con l’uovo è appannaggio di qualche forno che ancora rispetta la tradizione.

Più comuni e più commerciabili sono quelle che si tagliano a fette, per andare incontro alla richiesta di coloro che ne acquistano un solo pezzo per rispettare l’antica abitudine del consumo pasquale. Fornai che si alzavano più volte nella notte per rimpastare il preparato che lievitava così molte volte. Nelle case si segue la stessa procedura, anche se alcune varianti della ricetta, prevedono meno rimpasti e quindi migliore riposo notturno per la massaia.

La pasta lievita, si gonfia, rinasce come il Signore e, legato al più comune e familiare gesto del panificatore, restava nella tradizione, ormai desueta, il gesto similare attribuito alle madri abruzzesi di muovere i bambini sul letto, come Antonio De Nino descriveva in Usi Abruzzesi del 1881 - «Come il fornaio rimena la massa della pasta per farne filari di pane, così le affettuose madri rotolano sul letto i loro bambini, mentre le campane della chiesa suonano a festa. Piangano pure quelle innocenti anime di Dio; piangano allora; ma non piangeranno poi per i dolori di ventre. Sui prati i fanciulli e i giovanetti si rotolano anch’essi e fanno capriole e capitomboli per liberarsi dai dolori viscerali. Intanto le campane suonano per commemorare la risurrezione di Cristo».

Alle preziose notizie di De Nino si raccorda Finamore in riferimento ad un’antica e scomparsa tradizione di Teramo «I bambini che stentano a dare i primi passi, si lasciano per poco in quel momento, senza sostegno; e si ha fiducia che così cammineranno più presto (Teramo)». La carne d’agnello viene servita sulle tavole italiane, nel giorno di Pasqua, a ricordo dell’agnello sacro alla tradizione religiosa. Nel teramano, oltre alle tradizionali mazzarelle, l’agnello si sposa ad altri alimenti che racchiudono il senso di un’economia agropastorale come il formaggio e il simbolo pasquale, l’uovo. In questa armonia di gusti e sottesi significati, la preparazione dell’agnello cacio e ovo riassume sapidità e tradizioni di vita.