La Vara dell'Assunta a Messina, una questione rinascimentale di teologia, cosmologia, astronomia, esoterismo e scenotecnica

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Il 21 ottobre 1535 l’Imperatore Carlo V d’Austria giunse a Messina, reduce dalle vittorie di Tunisi e della La Goletta ottenute contro Kair-ad-din (nome che fu, poi, italianizzato in Ariadeno) soprannominato il Barbarossa, re d’Algeri. È proprio in quest’anno e in conseguenza di tal evento che si hanno il primo accenno alla «Vara» e la relativa prima descrizione, sotto forma di enorme «carro triomphale», realizzato per esaltare e magnificare la visita dell’augusto personaggio. Per accogliere degnamente l’Imperatore e predisporre tutte quelle iniziative consone all’avvenimento, il Senato di Messina indisse diverse riunioni: la prima l’11 agosto e le altre i successivi giorni 18, 19 e 27.

Altra riunione si tenne il 19 settembre, e in essa, si stabilì di «[…] darsi compimento alla machina della Vara». In onore dell’Imperatore, i bambini che, nella Vara composta da figuranti impersonavano il Cristo e l’Anima della Vergine Assunta, furono vestiti in modo da rappresentare Carlo V (al posto di Cristo) che, per l’occasione, recava in mano una «vittoria alata» (al posto dell’anima della Vergine). Su tale avvenimento e soprattutto sul culto della Madonna assunta in cielo, rappresentata come dormiente su una Vara esiste una vasta letteratura che, in generale, rimanda a influssi religiosi del Cristianesimo greco-bizantino presenti nelle regioni meridionali spesso rette, nell’Alto Medioevo, da clero di osservanza «ortodossa». 

Per esempio, sull’avvenimento dell’ottobre del 1535, Francesco Maurolico (1494-1575), scienziato ed umanista messinese, che ebbe una parte di primo piano nell’ideazione degli archi trionfali, dei versi e motti latini per l’ingresso di Carlo V, descrisse la Vara nel suo «Sicanicarum Rerum Compendium» del 1562 e, successivamente, in una pagina di diario del 1570, cita la «machina festiva» col nome di Vara: “[…] stettimo a Messina per la festa [dell’Assunta], vittimo la Vara et il palio da le fenestre di lo studio [il Prototipo Collegio dei Gesuiti] di S. Nicolao».

In sostanza, la tradizione cultuale adottata dai messinesi per onorare e festeggiare l’Assunta ancora oggi avviene con la Vara; in pratica rappresenta la sceneggiatura dell’Assunzione dell’Anima della Vergine in cielo, mediante un complesso apparato sviluppato a piramide e mosso da diverse figurazioni, sul tema del teatro edificante le sacre rappresentazioni che, come è noto, ebbero grande diffusione dal Medio Evo in poi. Punto di partenza è la piattaforma del «cippo», sulla quale è rappresentata la «Dormitio Virginis» (considerata dalle popolazioni meridionali di tradizione bizantina come «morte della Vergine») la cui bara è contornata dai dodici apostoli secondo la disposizione canonica delle pitture bizantine, la cosiddetta «koìmesis toù theothòkou»; più in alto del piedistallo sono raffigurati i «sette cieli» (ovvero il Paradiso) che l’anima della Madonna attraversa nella sua ascensione. Quindi, in aderenza alla concezione tolemaica dell’Universo – la Terra al centro e il Sole, la Luna e gli altri pianeti ruotanti intorno ad essa – il Sole e la Terra girano sorreggendo, nei rispettivi raggi più lunghi, fanciullini vestiti da angioletti rappresentanti le potestà angeliche. Il Sole e la Luna antropomorfizzati presenti, fra l’altro, nella Cosmografia del 1558 di Francesco Maurolico, come è noto, si tratta di simboli che vanno interpretati quali attributi di eterna bellezza spirituale della Vergine, come scrive San Bernardino da Siena (1380-1444) nel XII Sermone, interpretando un passo francescano del Cantico dei Cantici (6,10): «Chi è costei che sorge come l’aurora, bella come la luna, fulgida come il sole». Le diverse raffigurazioni, nella rappresentazione simbolica, in sostanza scandiscono, con i loro movimenti rotatori, il passaggio dal tempo mortale della Vergine a quello immortale dell’Assunzione in cielo. Ancora più in alto è posto il globo terracqueo con le stelle fisse, e, al culmine, la figura di Cristo circondata da quattro angioletti simboleggianti le Virtù Cardinali; con la mano destra Cristo porge l’Alma Maria (l’anima della Vergine) all’Empireo, dove c’è la beatitudine e la diretta visione di Dio.

Dell’iconografia della “Dormitio Virginis”, faceva parte l’ebreo profanatore Jefonia, personaggio che era presente nell’allegoria originaria della Vara, poi completamente scomparso, e presente nelle raffigurazioni iconografiche più antiche. Rimaneva però, nella cultura popolare, traccia della sua presenza in alcuni versi raccolti da Giuseppe Pitrè e pubblicati nella sua opera “Feste patronali in Sicilia”, stampata a Palermo nel 1898: “Vulia la santa festa mmuffiniari,//Vulia la Santa Vara sdirruccari,//Un Ancilu di Diu, senza tardari,// Li brazza cci tagghiau cu gran riguri!//Cussì chiddu giudeu si n’avvirtiu//Sutta la liggi santissima di Diu!”

L’intera configurazione della Vara, dal “cippo” all’“Alma Maria”, ha come disegno costruttivo e compositivo il pentacolo stellare. Partendo dalla testa del simulacro dell’Anima della Vergine e collegando fra loro sole, luna e piedi dei “pilastri” nel basamento, si ottiene, infatti, un perfetto pentacolo, ovvero la stella a cinque punte. Simbolo esoterico per eccellenza, riscontrabile in tutte le epoche e in tutte le civiltà, in sostanza il pentacolo simboleggia la riproduzione del cosmo quale processo creativo con l’evoluzione e la manifestazione delle forze divine, che sta a fondamento della formazione dell’Universo. In quanto tale, perciò, è simbolo di eterna creazione, cioè l’origine di tutti quei processi alla base della natura generati dal teorema universale che costituisce tutte le cose. 

Le cinque punte del pentacolo simboleggiano i cinque elementi metafisici della terra, del fuoco, dell’acqua, dell’aria e dello spirito. Questi cinque elementi sintetizzano quelle che sono tutte le forze elementari cosmiche universali del microcosmo e del macrocosmo. Lo spirito posto al vertice e quindi in un punto di massima vicinanza al Dio Creatore, è la mistica energia divina da dove tutto ciò che esiste ha origine. La creazione, quindi, ha il suo corso scendendo verso la punta in basso a destra del pentacolo, signoreggiata dall’elemento acqua, all’origine delle primissime e ancora involute forme elementari di vita sulla Terra. Da essa il processo creativo si dirige orizzontalmente, cioè sullo stesso piano, verso l’aria, l’elemento dove la vita si evolve, passando da uno stato primordiale e inconsapevole a quello autocosciente e intelligente. Il massimo grado dell’evoluzione è rappresentato dall’elemento terra, nella punta a sinistra del pentacolo. Ma, al tempo stesso, simboleggia anche la materia, quando l’evoluzione diviene troppo preponderante e allora ci si allontana inesorabilmente dallo spirito in alto, nell’opposto estremo, degradando verso il basso. E allora il rischio è quello dell’elemento fuoco, nella punta a destra, simboleggiante l’apice della degenerazione. Ad una decadenza corrisponde sempre, comunque, una ripresa, per cui la ciclicità del pentacolo indirizza nuovamente allo spirito, in una sorta di ritorno alle origini. Interpretato in senso pagano-escatologico, questo processo potrebbe anche simboleggiare il ciclo della reincarnazione nel quale lo Spirito, in quanto creatore di ogni cosa e quindi dell’uomo, alla fine della sua esistenza terrena questi torna ad essere parte dell’Uno cosmico, si unisce cioè a Dio. 

Il pentacolo stellare che venne applicato nella costruzione della Vara (si noti anche l’importante significato che ha la stella, simbolo del cielo quindi anche angelico, della luce quindi anche della verità e della bellezza, della strada da seguire dal momento che era proprio una stella quella che ha indicato la via ai Magi verso il Bambino appena nato) unisce quelli che sono gli elementi dell’Universo trasposti nelle figurazioni simboliche della machina devozionale cinquecentesca: alla terra corrisponde uno dei quattro pilastri nella piattaforma del “cippo”, in basso (materia); al fuoco corrisponde l’altro pilastro, ancora in basso (materia). Questi due elementi non potevano che accogliere la scena della “Dormitio Virginis”, cioè il corpo materiale della Madonna morta. All’aria corrisponde il sole e all’acqua la luna, elementi di mediazione fra di loro complementari, fonti di vita, legati però ancora alla Terra che nella Vara sta fra di loro, al centro (materia che anela allo spirito); allo spirito, infine, non poteva che corrispondere l’”Alma Maria”, tutt’uno col Cristo, inondata di luce e già nell’Empireo (spirito).

La processione della Vara si svolge il 15 agosto ma i preparativi per il montaggio della “Machina” iniziano il 1° agosto, con il trasporto del “cippo” basamentale in piazza Castronovo. Qui, giorno dopo giorno, si montano i vari pezzi custoditi durante l’anno nei locali dell’Ufficio Tecnico del Comune, terminando l’approntamento il 13 agosto.

Il culmine della preparazione avviene tra la notte del 14 e del 15 agosto, per concludersi nel primo pomeriggio con la collocazione, la legatura e la stesura della gomena in canapa in due tratti di 100 metri che, una volta realizzati i cappi iniziali dove prenderanno posto i capi-corda, sono utilizzati dagli oltre mille tiratori, in costume bianco e fascia azzurra ai fianchi, per far scivolare sull’asfalto continuamente bagnato da autopompe, la pesantissima “Machina”.

La sera della vigilia viene celebrata la Messa, davanti alla Vara, dal cappellano con il tradizionale rituale dell’offerta di fiori, da parte di devoti, sulla bara di vetro della Madonna “dormiente” collocata sulla piattaforma del “cippo”. Il 15 agosto, giorno dell’Assunzione della Vergine, tutto è pronto per la partenza che avviene, puntualmente come ogni anno, alle ore 19,00.

Allo sparo di una lunga “scarica di moschetteria” con lancio finale di bigliettini recanti le scritte “Viva Maria” e “Viva ‘a Matri Assunta”, il comandante della Vara dà il segnale di partenza, in piazza Castronovo agli oltre mille tiratori che iniziano il traino al grido di “VIVA MARIA”, guidati dagli oltre 50 timonieri e vogatori che, facendo forza e leva su delle lunghe stanghe di legno parallele davanti e dietro la Vara, imprimono ad essa la giusta traiettoria impedendo spostamenti laterali che potrebbero portarla fuori strada. Dietro il “cippo”, partecipano alla processione il sindaco con tutte le autorità civili e militari. 

La “Machina” scivola sui pattini d’acciaio (ma in origine era munita di ruote, sostituite con scivoli in legno dopo il 1565) lungo la via Garibaldi tra due grandi ali di fedeli che, di anno in anno, aumentano a dismisura, specialmente fra i turisti. Spettacolo emozionante vecchio di secoli ma pur sempre nuovo, con i tiratori aggrappati alle corde che tirano la Vara invocando a gran voce, alle partenze durante gli “strappi” e alle soste rituali, “‘a Matri Assunta” per voto, per devozione o per chiedere la “Grazia”.

Giunta all’incrocio con il viale Boccetta davanti alla Stele della Madonnina (dove alla processione si aggrega il Prefetto uscito dal frontistante Palazzo del Governo) ed in piazza Unione Europea davanti al Municipio, durante la sosta vengono eseguiti fuochi pirotecnici con bombe cosiddette “a giorno”. 

Quando la Vara viene fermata all’incrocio della via Garibaldi con la via Primo Settembre, per arrivare in piazza Duomo deve essere ruotata da ferma su sé stessa: è il momento più emozionante della processione, la cosiddetta “girata” di quasi 90 gradi per immetterla sull’asse della via, una manovra complessa che impegna comandante, timonieri e vogatori, l’”equipaggio” esperto della Vara; per far ciò, le corde vengono allungate oltre l’incrocio e, una per volta, sono sollevate e portate sulla via Primo Settembre.

Nel frattempo, dal vicino Palazzo Arcivescovile, esce l’Arcivescovo con alcuni componenti della Curia e, a piedi, si reca verso piazza Duomo dove prende posto su un palco accanto alla facciata della Cattedrale, allestito per la circostanza.

Quando tutto è pronto, il comandante dà il segnale di via col fischietto e agitando continuamente una bandiera dall’alto del “cippo”: è questo il momento più difficile ed impegnativo per i timonieri perché sono proprio loro a dover correggere eventuali errori di traiettoria per immetterla in posizione esatta sull’asse della strada. E qui, tra gli applausi e le grida di “Viva Maria”, si riprende la corsa verso la Cattedrale dove la Vara arriva tra il tripudio di una piazza ricolma di fedeli, fermandosi davanti alla porta principale del Duomo.

Dopo l’Omelia dell’Arcivescovo, che a conclusione impartisce la Santa Benedizione, i fedeli lentamente lasciano la piazza per entrare in Cattedrale ed assistere alla Santa Messa. 

Si rinnova così, ogni anno, una storia di fede lunga cinquecento anni.