Le vie dei passi danzanti - Come si ballava in terra umbra

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I balli tradizionali nel cuore d'Italia

- Prima parte - 

IL PRECARIO STATO DI CONSERVAZIONE E LO STUDIO DEL PATRIMONIO DEI BALLI CONTADINI UMBRI

Dispersione, cause e sostituzione di un patrimonio culturale
Come si ballava nelle aie e nelle feste contadine in Umbria sino a pochi decenni fa? 
È una domanda obbligata di fronte alla fine di un’antica civiltà contadina e al radicale mutamento delle condizioni di vita degli abitanti di una regione. E la medesima domanda può essere allargata anche ad altre forme espressive della tradizione locale: il canto, la musica, i giochi, gli scherzi, i passatempi, la cucina, certi vecchi mestieri e persino gli stessi dialetti risentono di un’usura e di una sostituzione di consuetudini.
In Umbria i vecchi balli popolari non sono ormai quasi più praticati. Se si eccettuano ristrette aree dove ancora qualche saltarello, manfrina, quadriglia o scotis viene ballato in rare occasioni comunitarie, nella maggior parte delle località umbre le danze tradizionali sono solo un ricordo degli anziani. Le danze “di una volta”, come spesso ci hanno detto gli intervistati, sono state praticate sino agli anni ‘50, alle soglie cioè di una diffusa e radicale trasformazione della realtà economica e culturale.
Le cause di tali trasformazioni di modelli culturali sono tante e variano da comunità a comunità.
Lo sradicamento dalle montagne e dalle campagne dovuto ai vari flussi migratori verso le grandi città (Roma, Perugia, Terni, Firenze, Foligno, ecc.) e la definitiva sostituzione dei vecchi balli agro-pastorali con i balli legati (valzer, polka, mazurka, tango) prima, e con i balli di massa proposti dalle mode discografiche prima e televisive poi, hanno tolto ai vecchi balli il ruolo di identificatori emblematici di una cultura folklorica preesistente. 
Il mutamento delle condizioni e dei ritmi di vita, l’economia sempre meno rurale e più industriale e turistica, l’acquisizione di nuovi modelli culturali da parte delle generazioni giovanili dal dopoguerra in poi, la riduzione del numero dei suonatori, la rarefazione delle occasioni di ballo, la mutazione stessa del senso di “festa” e l’organizzazione di eventi sempre più affidati ad assessorati, proloco, comitati e agenzie sono tra i fattori del declino dei vecchi balli popolari, che si accompagna con lo scarso interesse dato al patrimonio folklorico in genere. 
Oggi il ritorno di interesse per il folklore sembra essere più un fenomeno di investimento di immagine e di business che un bisogno profondo e identitario. Tant’è che l’attenzione alla ricerca di un'icona da ostentare, spesso si dirige più verso un medievalismo ricostruito (con rappresentazioni in costume) che verso una reale ricucitura con radici del passato.

L’indagine etnocoreologica in Umbria
La nostra ricerca sui balli dell’Umbria è iniziata sistematicamente nel 1987 ed è proseguita a fasi alterne tra mille difficoltà di reperimento delle testimonianze. La defunzionalizzazione della pratica etnocoreutica ha portato alla progressiva sostituzione dei repertori da parte dei suonatori e ciò ha condizionato l’opera di ricerca, obbligandoci in molti casi ad un recupero mnemonico di balli ormai smessi da tempo. 
Spesso è stato difficile ricostruire filologicamente l’evento danza nella sua interezza. Per fornire testimonianze sonore e riesecuzioni in vitro per riprese filmate, anziani suonatori e ballerini hanno compiuto talvolta veri restauri e piccole indagini tra i loro coetanei. Alcune esecuzioni musicali presentavano inevitabilmente i segni di questa dispersione e alcune imperfezioni tecniche dovute a scarso allenamento e all’età dei suonatori. Di fronte allo sfaldamento di un tessuto culturale tradizionale e alle trasformazioni delle forme espressive popolari, è diventata preziosa qualsiasi corretta testimonianza sulla danza etnica umbra. L’etnocoreologia e lo studio delle tradizioni popolari pagano così il prezzo del ritardo della ricerca sul campo. Le ipotesi più pessimistiche indurrebbero, per alcune aree ormai etnocoreuticamente desertificate, a ragionare in termini di “archeologia” etnografica; ma segni recenti di una nuova presa di coscienza del patrimonio locale e di un ritorno dei vecchi balli in alcuni centri rendono più complessa e meno ovvia la dinamica di trasformazione delle forme espressive tradizionali. La speranza di autonome forme di rifunzionalizzazione in extremis renderebbe merito ad una cultura etnocoreutica umbra un tempo così ricca ed articolata.


AREA DI COMPRESENZA DI FAMIGLIE COREUTICHE DIVERSE 

Il panorama dei balli tradizionali in Umbria riflette a pieno la sua particolare collocazione geografica nella penisola italiana, la sua centralità infatti le ha permesso lungo i secoli di potersi appropriare dei flussi culturali che provenivano da altre aree. 
Gli attuali confini amministrativi non rispecchiano a pieno la fisionomia etnica delle sue valli: osservando molti aspetti folklorici umbri si nota come le influenze culturali delle regioni limitrofe coprono gran parte del suo territorio e questo vale anche per la distribuzione dei balli. 
Nella zona orientale appenninica confinante con la Marche, ad esempio, predomina quasi esclusivo il saltarello con evidenti elementi morfologici marchigiani; nella parte settentrionale, corrispondente all’alta valle del Tevere, i balli presenti sono tipologicamente romagnoli (manfrina, paroncina, furlana, ballo degli schiaffi); in val di Chiana si avverte la presenza toscana (trescone, punta e tacco, polka rossa); nell’area ternana e orvietana quella sabina, laziale e meridionale (saltarello, tarantella).
Elementi etnocoreutici originali si ritrovano lungo la Valtiberina e nelle piccole valli trasversali, dove v’è stata una peculiare rielaborazione di modelli esterni o una invenzione autoctona di balli (tant’è che ancora oggi troviamo, ad esempio, diverse varianti di manfrina e di scotis tipicamente locali, o danze particolari come il paparagianni e il ballindodici). 
Osservando la distribuzione dei balli sul territorio, può stupire la netta separazione dei repertori di ballo fra paesi limitrofi: tale incisiva demarcazione testimonia l’importanza e l’efficacia delle influenze plurisecolari e degli scambi culturali con aree diverse. Le modalità di realizzazione della danza sono frutto di una complessa evoluzione storica che ha permesso continue sovrapposizioni e integrazioni di modelli esterni con forme autoctone. Il “bisogno” della danza veniva espletato in modo diverso: vi sono, ad esempio, aree considerate generalmente più arcaiche e conservative come quelle pastorali appenniniche (ai confini con le Marche), che tendono ad essere essenziali ed economiche nella scelta quantitativa dei repertori e basano sul saltarello la loro principale espressività coreutica. Vi sono invece aree coreuticamente più prolisse ed abbondanti come quelle centro-occidentali, che hanno avvertito la necessità di accumulare e praticare molti più balli.

Occasioni e musiche di supporto ai balli
In ambienti rurali e paesani le occasioni più frequenti in cui talvolta è possibile che ancora oggi nascano momenti di danza sono le veglie o le feste “di società” (ritrovi serali in casa con vicini e parenti), i carnevali (ancora oggi si organizzano veglioni danzanti), i maggi (durante le questue itineranti e nel banchetto di consumazione degli alimenti o delle offerte ricavate), le nascite (le feste a carattere parentelare e comparatico in cui si usa cantà a prosciutto se nasce un maschio, o a spalletta se nasce una femmina) e più raramente in qualche banchetto nuziale.
Anche sul piano etnomusicale gli usi “sonori” sono mutati nel tempo. Gli aerofoni della tradizione pastorale (flauti, zampogne e ciaramelle) sono scomparsi da tempo. Lo strumento di gran lunga più usato oggi per il ballo è la fisarmonica. 
Lungo la fascia appenninica è ancora abbastanza radicato l’organetto diatonico a 2 bassi (nella zona meridionale a confine con il Piceno e la Sabina) e quello a 8 bassi (a confine col maceratese, anconetano e urbinate). 
La tradizione artigiana si era specializzata, come in altre regioni italiane, in strumenti a corda: violino, mandolino e chitarra: Nell’area attuale dell’organetto sopravvive ancora il cémpene (tamburello) e il triangolo sul versante che dà verso le Marche.

I BALLI UMBRI

Il saltarello in Umbria
La saltatio era il ballo autoctono dei latini, di gran lunga il ballo più diffuso nei primi secoli di Roma (insieme al tripudium, alla danza armata della ballicrepa e al ballo in tondo della chorea), tanto che ben presto saltationes e saltare hanno ampliato il loro campo semantico sino a significare in generale “balli” e “ballare”. La parola saltarello, dunque, sembrerebbe derivare etimologicamente dalla saltatio latina, ma la scarsità delle fonti scritte non ci permette una ricostruzione storico-morfologica del ballo, ed è quindi difficile dimostrare una diretta discendenza dei saltarelli contadini del XX secolo dalle vaghe descrizioni delle saltationes latine.

Al XIV sec. risale una trascrizione musicale di saltarello (British Museum Add.29987). Nel 1465 il Cornazano lo indica come “balo da villa” molto frequente fra gli italiani. Tra il XIV e il XVII sec. il saltarello è uno dei quattro modi basilari della danza di corte italiana (bassadanza, saltarello, quaternaria, piva): gli ambienti aristocratici erano soliti ispirarsi ai balli popolari, per effettuare poi trasposizioni in stile aulico di musiche e coreografie. 
Ma il saltarello popolare che ancora oggi possiamo osservare in area appenninica umbra nelle modalità di ballo prettamente di coppia, sembra un modello affermatosi tra il XVI e il XVII secolo, che poco ha da spartire con le modalità esecutive del saltarello colto.

In Umbria il saltarello è attestato lungo tutta la fascia orientale e meridionale; sono ben visibili le sue corrispondenze con le forme omonime della tradizione marchigiana e sabina. Strutturalmente i saltarelli umbri appartengono all’area centro-meridionale, dove la corrispondenza tra esecuzione musicale e coreutica è di tipo ritmico e non melodico. Essi si compongono in Val Topina di saltarello (ballo frontale), giro (staccato o con presa per mano o per braccia) e scarpetta (la parte che nei saltarelli adriatici viene detta spuntapiede ed è eseguita sulle “spizzicate” - frequenti tremolii di mantice - dell’organetto). 
Il saltarello è una danza in coppia (generalmente mista, ma anche fra gente dello stesso sesso) con libera sostituzione delle coppie o dei singoli ballerini all’interno del cerchio di spettatori.
I brani musicali sono eseguiti generalmente dall’organetto diatonico - più recentemente anche dalla fisarmonica - con possibile accompagnamento di tamburello (cémpene) o di triangolo (ferro o cembalo). 
Spesso il saltarello è cantato, con successione spontanea di cantatori, per distici in rima baciata, disposti in sequenze sciolte o narrative.


La Tarantella
Questa danza, di cui non conosciamo finora la forma coreutica, era ballata nella parte meridionale dell’Umbria e conviveva con la similare famiglia del saltarello. Dal designare un tipo di ballo terapeutico legato al fenomeno del tarantismo, la tarantella è passata - proprio come il saltarello - a significare un più ampio gruppo di danze tipiche soprattutto dell’Italia meridionale. 
In Umbria era comunque un ballo in coppia, mista e non, dalla gestualità alquanto vivace.