Nella seconda metà degli anni ’60 del secolo scorso, quando in numerose comunità cominciarono a costituirsi i gruppi folklorici come associazioni organizzate con l’intento di conservare soprattutto il patrimonio canoro, coreutico e l’abbigliamento tradizionale locale, gli italiani si trovavano nella fase di passaggio dal sistema economico-sociale e culturale del mondo contadino a industrializzato; si era in pieno sviluppo economico, anche se, nelle regioni meridionali, era ancora intensa l’emigrazione dei giovani verso le zone settentrionali. L’industrializzazione meridionale veniva orientata verso gli impianti petrolchimici in quanto il Mezzogiorno, nei progetti di allora, offriva facili approdi per le numerose petroliere che, dai pozzi mediorientali, portavano il greggio da trasformare in benzina e altri derivati da distribuire in Europa.
In tale clima economico-sociale si inseriva il vasto processo di trasformazione culturale realizzato dalla RAI con la televisione che, nell’arco di un decennio, riuscì ad ottenere l’unità linguistica degli italiani; fu un risultato che non aveva realizzato la scuola con oltre un secolo di unità nazionale. In tale contesto sociale e culturale, grazie allo stimolo di trasmissioni come «Campanile d’oro», in numerose comunità, gruppi di giovani si interessarono a recuperare il proprio patrimonio culturale di abbigliamenti, di canti, musiche e balli. Senza uno specifico programma educativo, mentre imperversavano i ritmi del bughi bughi e apparivano i primi sprazzi del rock, and roll, soprattutto nei paesi agro-pastorali, gli anziani, con esempi pratici, si attivarono ad insegnare le antiche usanze che ormai rischiavano di scomparire. Infatti, in quel periodo, negli anni ’60, anziani e giovani intuirono che il processo di modernizzazione stava cancellando le loro specifiche e differenti identità storico-culturali. Inoltre, queste esigenze di recupero e conservazione delle culture popolari, a partire dagli anni ’50, erano già state attivate da attenti intellettuali, come Diego Carpitella e Roberto Leydi, programmando, nelle diverse sedi regionali della RAI, trasmissioni settimanali di canti e musiche tradizionali.
Da qui l’innesto e la successiva organizzazione di tutto l’apparato organizzativo che, col tempo, hanno permesso il costituirsi della successiva organizzazione della FITP, grazie alla quale sono emersi nuovi stimoli educativi verso i giovani adeguandoli agli interessi degli ultimi decenni del secolo scorso: il piacere di stare in associazioni che allora univano ragazzi e ragazze, ovviamente con il facile consenso dei genitori; il particolare interesse di poter viaggiare in Italia e all’estero per esibirsi, proponendo il repertorio delle proprie tradizioni canore, musicali e coreutiche.
Questo aspetto richiedeva ai giovani di allora di specializzarsi negli spettacoli; fra l’altro, spesso essi erano stimolati dal confronto con i giovani di altri gruppi, tra quali quelli dei paesi dell’est Europa erano quelli più imitati in quanto molto bravi.
Già a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, con la fine delle ideologie per sempre crollate col “muro di Berlino”, con l’esplodere della logica sociale dell’economia finanziaria e della relativa globalizzazione, il sistema di associarsi dei giovani, come è noto, ha subito forti modificazioni, in conseguenza anche di una particolare crisi della famiglia, nella quale ha prevalso una concezione educativa fortemente liberistica che poi si è riflessa anche nella scuola a tutti i livelli.
Da qui è derivato che i giovani si sono ritrovati prima nelle discoteche e non più nei circoli politico-culturali, così come per i loro padri avveniva negli anni ’70 e ‘80, in quanto “figli” del mitico 1968.
Attualmente essi si ritrovano, nei diversi spazi urbani, dedicati alla «movida» dal particolare sistema che controlla il divertimento notturno giovanile nei fine settimana. L’interesse per ritrovarsi nei gruppi folklorici non c’è più; i pochi giovani, che vengono attratti ad apprendere canti, musiche e balli della tradizione popolare, spesso sono indotti da particolari interessi personali o da suggerimenti di parenti o di anziani.
Questa situazione impone all’attuale gruppo dirigente nazionale e locale della FITP una fondamentale riflessione; sicuramente è opportuno trovare un nuovo particolare approccio per interessare i giovani alle culture popolari del proprio patrimonio etnografico. Una delle possibili soluzioni potrebbe essere la “via” delle commistioni tra antiche e nuove forme di spettacolo, con l’intento di realizzare innovazioni valide a fruizioni facili e possibili per accogliere la modernità. In pratica, la FITP dovrebbe abbandonare il rigore di custode severa dell’ortodossia della tradizione, per assumere, al contrario, una disponibilità all’innovazione, comunque realizzata tramite il rispetto di elementi tradizionali essenziali. Questo significa inventare una nuova pedagogia per insegnare ai giovani come si può inserire la cultura popolare nei momenti attualmente totalizzanti della movida.