Problematiche etno-antropologiche sul rapporto uomo-fuoco

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La scoperta e il controllo del fuoco costituiscono un risultato importante ed essenziale per superare le oggettive opposizioni di natura e cultura, di crudo e cotto; si tratta di opposizioni che vengono risolte proprio dagli uomini per mezzo del privilegio che essi hanno acquisito con il lavoro tramite il quale la natura assume forma e dimensione di cultura: i vari prodotti di cultura materiale realizzati storicamente rappresentano concrete testimonianze delle capacità di migliorare con il lavoro. Il percorso va dai reperti dell’antichità per giungere, passando attraverso i vari contesti storico-culturali, agli attuali esiti della moderna tecnologia elettronica e meccanica che danno avvio ad ulteriori complessi futuri sviluppi. Il mito di Prometeo, con il furto del fuoco divino, è un’elaborazione simbolica nel quadro delle credenze religiose della cultura della Grecia antica; in tale contesto, infatti, il fuoco rappresenta il superamento dell’istintività animale e la conquista da parte degli uomini della cultura.
In Sardegna, nell’immaginario collettivo popolare sono state elaborate leggende come quella di Sant’Antonio Abate, un eremita che, secondo la tradizione agiografica, ha vissuto nella Tebaide in Egitto e va nell’inferno per rubare al diavolo il fuoco per regalarlo agli uomini. Nell’Isola, tuttavia, nel passato come oggi, il fuoco provocato da incendi, la maggior parte voluti per svariati motivi da sempre ha costituito una grave calamità difficile da controllare e da estirpare. Bisogna precisare, però, che nel passato per tradizione, quando la macchia mediterranea era presente anche nelle aree pianeggianti, per renderle coltivabili, era necessario bruciare gli arbusti. In sostanza la pratica dell’incendio ancora oggi è utilizzata in autunno per liberare da erbe infestanti e da cespugli di rovi gli spazi di canali e viottoli di accesso ai campi. La stessa pratica, inoltre, viene applicata per incendiare erbe e stoppie secche dei campi affinché con le prime piogge cresca facilmente l’erba per il pascolo.
Si tratta, infatti, di usanze diffuse in tutte le zone destinate a pascolo; per esempio, in Africa, nelle aree della savana alberata, impiegata a pascolo per le mandrie composte da molte migliaia di bovini di etnie di allevatori come i Masai, i Dinka e i Nuer è normale, prima delle grandi piogge semestrali, nel periodo secco, quando le mandrie sono al pascolo lungo le rive dei fiumi, bruciare le erbe inutili per rendere pascolative ampie zone.
In tutti i casi, la pratica dell’incendio delle erbe dei campi ha sostanzialmente la funzione di velocizzare un lavoro che altrimenti sarebbe faticoso; nello stesso tempo, serve a fertilizzare il terreno con la cenere che è considerato un ottimo concime.
Come si è prima accennato se l’incendio controllato delle stoppie è funzionale all’allevamento per ottenere pascolo per gli animali, per contro, quando viene impiegato in forme e modi anomali e irrazionali provoca gravi danni all’ambiente che, in pratica, si estende proprio alla pastorizia sottraendole i pascoli.
Per impedire gli incendi dolosi, da sempre le diverse culture, nei differenti periodi storici, hanno definito prima norme consuetudinarie e poi hanno stabilito specifiche leggi scritte per punire gli incendiari. Per quanto riguarda la Sardegna, si hanno leggi per controllare gli incendi in ambito agricolo già in epoca medievale. Per esempio, nel secolo XIV, gli Statuti del libero Comune di Sassari prevedevano severe sanzioni contro chi “istudiosamente, over ad istudiu, alcunu fochu aet ponner in alcunu lavorgiu, over in alcun atteru locu pro facher dannu”. I responsabili venivano condannati a pagare una multa di 25 lire genovesi; in sostanza, si trattava di una somma ingente, in quanto era prevista la pena capitale per impiccagione per coloro che non pagavano. Inoltre, il colpevole che si fosse reso contumace veniva considerato bandito e i suoi beni venivano confiscati per il risarcimento dei danni procurati. Negli stessi Statuti sassaresi sono menzionati una serie di norme riguardanti la prevenzione degli incendi nei campi. Inoltre, per quanto riguarda la protezione dagli incendi dei centri abitati sono presenti specifiche disposizioni nel Breve di Villa di Chiesa. 
Tuttavia, la normativa più articolata, riunita in sei capitoli all’interno degli “Ordinamentos de fogu”, è presente nella Carta de Logu dalla quale derivano le successive disposizioni aragonesi e spagnole fino a quelle presenti nei Pregoni del periodo sabaudo.
Tuttavia, numerosi divieti e reiterate minacce di pene severe da comminare ai trasgressori, rei di incendi dolosi nelle campagne, dopo diversi secoli fino ai nostri giorni, non sono riusciti ad eliminare i disastri provocati dal fuoco acceso in modo incontrollato e spesso di nascosto. La soluzione del fenomeno forse dovrebbe essere rintracciata nel contesto dello stesso sistema pastorale e agricolo, in quanto sono tali comparti che hanno elaborato l’impiego del fuoco come funzionale ad una migliore resa pascolativa e agraria dei terreni. In tale prospettiva, infatti, dovrebbe nascere un autocontrollo di consensi reciproci da fissare, non tanto per divieto di legge, ma come volontà sociale acquisita dalla comunità che così rafforza la propria coesione.