Sorte e fortuna in alcuni giochi della tradizione sarda

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1. I giochi sono stati oggetto specifico di studio soprattutto da parte di pedagogisti e psicologi che per primi, fin dall’antichità, hanno affrontato le problematiche educative che in essi si sottendono1; gli aspetti antropologici, invece, sono stati studiati soltanto a partire dalla seconda metà del 19° secolo. Ci si riferisce ovviamente ai noti e fondamentali lavori di Edward Burnett Tylor (1879 - 1880 - 1896)2, di Giuseppe Pitrè (1883)3, di Stewart Culin (1894 - 1902)4, di Alice Bertha Gomme (1898)5, di Raymond Firth (1930)6, di Bronislaw Malinoswski (1931)7, di Saverio La Sorsa (1937)8, di Johan Huizinga (1939)9, di Marcel Griaule (1935 - 1938)10, di Roger Caillois (1955 - 1958)11, di Alberto M. Cirese (1960 - 1962)12, di Vittorio Lanternari (1965)13, di Gregory Bateson (1972)14, di Clifford Geertz (1973)15 ed altri nei quali i giochi infantili e degli adulti sono considerati come fatti socialmente e culturalmente connotati volti comunque a contribuire all’integrazione e alla coesione sociale16.

In tutti i casi, è opportuno accennare appena che un primo importante contributo allo studio sui giochi si ebbe soltanto con l’analisi di Caillois che li suddivise in quattro fondamentali categorie: di competizione o agonistici (Agon), di casualità o aleatori (Alea), di imitazione o mimica (Mimicry), di rischio o azzardo (Ilinx). Da qui, in seguito, l’approfondirsi del dibattito con altre proposte, fra le quali l’ipotesi di distinguere i giochi in due fondamentali insiemi, nei quali sono incluse, in un reciproco intreccio, le quattro categorie di Caillois; si hanno, così, giochi di regola e di imitazione, nei quali comunque vengono fissate delle regole strutturali e organizzative. In questa sede, pertanto, l’intento è di esaminare alcuni aspetti legati alle variabili indipendenti delle regole riguardanti i sorteggi e l’acquisizione della fortuna, presenti in due “giochi di regola” della tradizione popolare sarda, ma che si riscontrano anche in altre regioni italiane e di cultura europea.

Su tale questione, tuttavia, è opportuno premettere, sebbene ciò possa risultare ovvio, che, nello svolgimento delle fasi e delle diverse azioni dei “giochi di regola” sono presenti due serie di fattori strutturali che costituiscono proprio le regole principali di svolgimento: da un lato, un certo numero di prove o azioni stabilite secondo regole sulle quali è organizzato il gioco; dall’altro, una certa quantità di variabili indipendenti e incontrollabili su cui vengono formalizzate le stesse prove che sottomettono, in questo modo, i relativi esiti alle leggi matematiche della casualità e, quindi, delle probabilità positive o negative. 

La nozione di prova, utilizzata in questo tipo di giochi, come è noto, è quella connessa al concetto di competizione con altri concorrenti o con se stessi o, genericamente, con la sorte da cui derivano esiti esclusivamente casuali (tale nozione di prova, quindi, non riguarda il contesto giuridico, né quello sperimentale, né i sistemi logico-dimostrativi delle matematiche e delle geometrie). In ogni caso, però, le prove in quanto prassi di conoscenza, devono essere intese come soddisfacimento delle esigenze, che costantemente hanno gli uomini, di disporre di certezze; per converso, però, ci si rende conto subito che le stesse azioni, attivate per raggiungere le certezze, risultano operanti nella dimensione del probabile e soggette al casuale, i cui dati non sono quantificabili se non si dispone di alcuni valori essenziali. 

Si intende verificare questi presupposti generali in due giochi della tradizione popolare della Sardegna17, nel passato praticati dalle famiglie la notte di Natale, subito dopo il cenone, prima di andare alla messa di mezzanotte.

2. Il primo gioco è quello del girlo (barrallicu), diffuso oltre che in Sardegna e anche in altre regioni europee. Consiste in una sorta di trottola a forma di cubo dalla cui base inferiore spunta un perno per la rotazione, mentre al centro di quella superiore è incastrato un piccolo manico. Questo serve affinché, con la presa e lo schiocco indice-pollice, venga data una spinta per girare su se stesso il girlo. Sulle sue quattro facce laterali sono incise lettere distribuite nel seguente ordine; in una prima c’è la lettera “T” che equivale a “tutto” (tottu), in quella opposta c’è una “P” che significa “metti” nella traduzione dal sardo poni; sulle altre due facce sono rispettivamente incise le lettere “M”, per indicare “metà” (mesu) ed “N” che significa “nulla” (nudda).

Il gioco deve essere eseguito da più giocatori che stabiliscono di mettere in palio delle poste in moneta o in altri oggetti a cui si attribuisce un valore. 

Nella veglia di Natale le poste, in genere, sono costituite da mandorle, noci e fichi secchi; negli ultimi tempi vengono impiegati anche cioccolatini e caramelle.

Dopo aver messo sul «piatto da gioco» la quota della posta stabilita per ciascuno, seguendo un turno fissato per sorteggio, ogni giocatore fa ruotare il girlo che, alla fine della rotazione, si ferma mostrando in alto una delle quattro facce sulle quali sono incise le lettere. Se l’esito del sorteggio è la lettera “T” il giocatore ritira tutto il piatto, invece se appare la faccia con la terra “P” deve versare un’altra quota; con la lettera “M” vince la metà del piatto; mentre non si prende niente quando il girlo si ferma alla “N”. Nel gioco si hanno quattro importanti fattori fra loro interconnessi nell’ottenere i risultati o eventi delle prove che si ottengono facendo ruotare il girlo. Il primo è il sorteggio preliminare per stabilire il turno di gioco; il secondo è il numero dei giocatori che partecipano; il terzo riguarda la bravura di ogni giocatore nel far ruotare il girlo; infine, il quarto riguarda il numero delle probabilità che ogni giocatore ha di ottenere un esito positivo. Questo dato, come è noto, è uguale al rapporto tra il numero dei casi favorevoli e il numero dei casi possibili che, nel girlo, è pari a 2/4, considerando positivo anche l’esito con la lettera “M”. Tale dato, però, si sviluppa con un maggior numero di combinazioni quando aumenta il numero dei concorrenti; si avrà, quindi, che il dato “fattoriale” o “n” “fattoriale” (n!) delle possibili combinazioni di esiti varia in base alla quantità di prove o eventi effettuati per ottenere i risultati. Pertanto, aumentando il numero dei concorrenti aumenta, in modo esponenziale, il numero della combinazioni. Inoltre, nel gioco del girlo, poiché, per stabilire il turno si impiega il sorteggio, gli esiti possono variare anche in base a tale turno: per esempio, il giocatore che è in coda dispone di un numero inferiore di possibilità di eventi positivi. In pratica, con quattro giocatori che corrispondono ad altrettanti eventi o prove si hanno 24 possibili combinazioni di esiti secondo il seguente calcolo: (n x n-1 x n-2 ... n-k+1) (n=numero eventi; k=numero di volte) [n4.(n4-1).(n4-2).(n4-k4+1) = 4.3.2.1=24]; con sei giocatori, però, il numero delle combinazioni aumenta in modo esponenziale arrivando a 720.

 

3. Il secondo gioco, soprattutto nel passato, veniva ugualmente praticato durante la veglia di Natale; in sardo è definito Cavalieri in porta e consiste in una sorta di scommessa, tra un capogioco e un altro giocatore, per indovinare una posta tenuta nascosta tra le mani. Se il giocatore indovina vince la posta, se, invece, sbaglia paga una penale pari alla differenza in difetto o in eccesso della stessa posta, di solito composta da mandorle, nocciole o fichi secchi.

Tramite sorteggio tra due o più giocatori vengono stabiliti sia il turno, sia chi deve fare da capogioco o conduttore. Questi, per avviare il gioco, nasconde tra le mani la posta e invita il compagno a pronunciare la prima battuta del dialogo cerimoniale che si stabilirà fra loro per poi arrivare al momento fondamentale della scommessa. Il primo giocatore avvia il dialogo con il capogioco imitando il rumore di quando si bussa ad una porta: «Tum! Tum!».

A sua volta il capogioco, tenendo la posta nascosta fra le mani tra loro unite, chiede: «Chi è»? (Chini è?).

L’altro risponde: «Un cavaliere alla porta! Lasciami entrare!» (Cavalieri in porta! lassami intrai!).

Quindi il capogioco pone la domanda della scommessa chiedendo: «Quanti “scudi” porti con te»? (Cantu scudus portas?).

A questo punto il giocatore dà una risposta a caso cercando di indovinare la quantità della posta celata tra le mani del capogioco: «Ne porterò .... !» (D’appa portai .... !). 

Nel caso l’esito sia positivo egli vince la posta e assume il ruolo di capogioco continuando con i turni dei successivi giocatori. Il capogioco che perde prende il posto del compagno che ha vinto. Se invece il giocatore non ha indovinato versa al capogioco la differenza in difetto o in eccesso della quantità della posta e, quindi, si procede con un successivo giocatore.

Anche in questo gioco gli esiti o eventi positivi sono determinati dal calcolo delle probabilità “P” che derivano dal rapporto tra i casi favorevoli m e i casi possibili n, cioè, P=m/n. Per dare un esempio di questo rapporto, nel gioco dei dadi, le probabilità di vincita sono pari a 3/36; nel gioco del Cavalieri in porta, invece le probabilità di vincita sono 1/6, in quanto i casi possibili o fattoriali sono dati da n3 (n3-1).(n3-2).(k1-1+1)=6; si ha, invece, un solo caso favorevole.

A questo punto è necessaria una breve riflessione: nei due giochi descritti, così come in tutti quelli con sorteggi e prove d’azzardo, risulta interessante il fatto che essi costituiscano un sistema codificato di spartizione sociale dei beni effettuata in base a un sorteggio e, quindi, secondo il calcolo delle probabilità, sul quale, in tutti i casi, si presenta strutturato l’andamento dell’esistenza degli uomini. In pratica, la casualità e, quindi, le probabilità degli eventi, positivi e negativi, di fatto, segnano in modo determinate, in tutti i contesti ambientali e in ogni epoca, l’esistenza umana ed i relativi sistemi culturali. 

 

NOTE

1 - La letteratura sul gioco, come è noto, è vastissima in quanto in essa viene affrontato uno dei più interessanti comportamenti degli uomini e degli animali che, da sempre, ha suscitato attenzioni da più punti di vista: gli studi dei filosofi, dei pedagogisti e psicologi che hanno preceduto le indagini sociali e culturali degli antropologi. Per esempio, nell’antichità, Platone, nelle Leggi, aveva individuato la fondamentale funzione pedagogica del gioco, quando consigliava ai genitori ed agli educatori di dare ai bambini giocattoli che fossero simili agli strumenti impiegati nelle attività professionali degli adulti. Aristotele era della stessa opinione; riteneva che i bambini dovessero essere educati tramite il gioco, praticando attività che dovevano poi svolgere da adulti.

In epoca più vicina a noi, tra i secoli 18° e 19°, Froebel diede grande importanza al gioco, partendo dalla constatazione concreta che, nel processo educativo, era opportuno individuare gli interessi naturali e considerare la condizione evolutiva dei bambini (F. G. Froebel, L’educazione dell’uomo, edizione originale, 1826; 2° ediz. it., Torino, Paravia, 1966). I presupposti teorici froebeliani si collocano nella visione ottimistica del Romanticismo secondo la quale si dovevano individuare e valorizzare tutte le espressioni che davano sfogo alla spontaneità e alla libertà dell’uomo; il gioco, infatti, secondo quest’ottica, costituiva una libera e spontanea espressione dei bambini. Froebel, pertanto, tenne in particolare considerazione quei giochi e giocattoli che, in quanto congeniali alla psicologia infantile, contribuivano a stimolare l’attenzione e il processo di apprendimento.

Sempre a partire dallo stesso periodo, sul fenomeno gioco sono state proposte diverse altre teorie che hanno contribuito a specificarne meglio le funzioni. Tra queste teorie, quella che considera il gioco come scarica o sfogo di energie sovrabbondanti presenti nei giovani, risale alla fine del 18° secolo e fu proposta dal poeta Friedrich Schiller (J. C. F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’umanità, edizione originale 1795; ediz. it., Firenze, Sansoni, 1927). Le concezioni di Schiller furono rielaborate in chiave evoluzionistica da Herbert Spencer (H. Spencer, Principles of Psychology, London, William & Borgate, 1870-72. 

Un’altra teoria di chiara impronta positivistica fu quella proposta nel 1862 da Stanley Hall che considera il gioco come una ricapitolazione ontologica dello sviluppo psicomotorio filogenetico (G. Stanley hall, Yuoth, New York, Appleton C., 1906). Nel corso dell’infanzia, secondo Stanley Hall, i giochi si evolverebbero in modo simile al processo evolutivo attraversato dall’umanità nel corso dei millenni; si avrebbe, nei bambini, il seguente itinerario evolutivo: durante l’infanzia tra di sei e i nove anni si avrebbero i giochi di caccia, mentre durante la pubertà e l’adolescenza verrebbero adottati i giochi di tipo socializzante e di organizzazione di gruppo. Nel 1896 Karl Gross propose una teoria ancora oggi valida (K. Gross, Les jeux des animaux, Paris, Alcan, 1902). Gross prende le mosse dall’osservazione del gioco tra gli animali per riuscire a individuare le relative motivazioni e funzioni biologiche; in questo quadro, distingue che i diversi animali hanno particolari e differenti giochi che si adeguano ai diversi istinti; in stretta connessione a ciò gli animali diventeranno adulti. Secondo Gross, quindi, si hanno giochi di lotta, di caccia, giochi erotici, ecc. La conclusione alla quale giunge, per quanto riguarda gli uomini, è che i bambini svilupperebbero nel gioco quelle funzioni che, in seguito, saranno loro necessarie in forma determinante nella vita adulta. Pertanto, nei processi educativi, i giochi devono essere intesi come esercizi preparatori che sarebbero tanto più complessi quanto è più elevato il livello di complessità dell’animale nella scala zoologica, al cui vertice, come è noto, c’è l’uomo.

Per quanto riguarda le teorie di tipo psicologico che considerano gli aspetti sostitutivi e compensativi del gioco, che contribuirebbe all’avviamento e allo sviluppo delle tendenze e delle facoltà dei bambini, devono essere presi in considerazione gli studi condotti dal Carr; egli ritiene che oltre ad avere una funzione catartica, i giochi possono essere considerati come le componenti più importanti dell’attività formativa della struttura fisica e caratteriale dei bambini (H. Carr, Psicology. A Study of mental activity, New York, Longmens Green, 1925). Sempre nell’ambito delle ricerche psicologiche hanno provocato particolari interessi le interpretazioni psicanalitiche proposte rispettivamente da Anna Freud e da Melania Klein: A. Freud, Psychoanalytical Treatment of Children, Hogarth, Press, 1946 (trad. it., Psicanalisi e bambini, Milano, Mondatori, 1955); M. Klein, The Psychoanalytic Play-technique, in «Am. I. Ortopsychiat.», n. 25 (1955), pp. 223-237 (trad. it., La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato, in F. Fornari (a cura di), Fantasmi, gioco e società, Milano, Il Saggiatore, 1978, pp. 38-68). Anche in questi due lavori il gioco è inteso come “catarsi” in grado di liberare le tendenze e i sentimenti aggressivi; costituirebbe come una sorta di manifestazione innocua dell’aggressività che verrebbe incanalata in schemi prestabiliti e neutralizzati. Per questo motivo il gioco sarebbe anche una sorta di apparato compensativo alle frustrazioni. In particolare, ciò si verificherebbe quando il bambino, protagonista di un particolare gioco, si identifica, durante la finzione ludica che ripropone stati reali in ruoli gratificanti rispetto a quelli ai quali la realtà lo costringe. Si tratterebbe di una funzione sostitutiva e compensatoria che si manifesterebbe, nel contesto delle attività psicodinamiche a tutte le età e, in particolare, nei bambini nel periodo in cui si va formando una condizione di vita autonoma, aperta a processi di socializzazione verso l’esterno. Nel quadro degli studi psicologici si deve ugualmente tenere presente il lavoro di Susanna Millar apparso alla fine degli anni ’60 del secolo scorso; in esso si affrontano le funzioni psico-terapeutiche dei giochi per intervenire nei confronti di eventuali disfunzioni presenti nei bambini: S. Millar, The Psychology of Play, Middlesex, Penguin Booka – Harmomdsworth, 1968 (tr. it., La psicologia del gioco infantile, Torino, Boringhieri, 1974).

2 - E. B. Tylor, The History of Games, in «The Fortnigthly Review», new series vol. 25, (1879), pp. 712-747; Id., On the Game of Patolli in Ancient Mexico and its Probable Asiatic Origin, in «Journal of the Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland», VIII, (1879), pp. 116-129; Id., Remarks on the Geographical Distribution of Games, in «Journal of the Royal Anthropological Institute of Great Britain and Ireland», XI, (1880), pp. 23-30; Id., On American Lot-Games as Evidence of Asiatic Intercourse before the Time of Columbus, in «International Archiv for Ethnographie», n. 9, (1896), pp. 55-67.

3 - G. Pitrè, Giuochi fanciulleschi siciliani, Pel ermo, L. Pedone Lauriel, 1883.

4 - S. Culin, Mancala, the National Game of Africa, in Avedon Sutton-Smith (eds), 1894, pp. 94-102; Id., American Indian Games, in Avedon Sutton-Smith (eds), (1902), pp. 103-108.

5 - A. B. Gomme, The Traditional Games of England, Scotland end Ireland, with Tunes, singing-rhymes, and methods of playing according to the variants existent and recorded in different parts of the Kindom, II voll, London, David Nutt, 1894-1897.

6 - R. Firth, A Dart Match in Tikopia, in «Oceania», n. 1, (1930), pp. 64-96.

7 - B. Malinowski, Culture, in AA. VV., Encyclopaedia of the Social Sciences, New York, Macmillan, 1931, vol. IV, pp. 621-645 (trad. it. in P. Rossi (a cura di), Il concetto di Cultura, Torino, Einaudi, 1970, pp. 133-192).

8 - S. la Sorsa, Come giuocano i fanciulli d’Italia, Napoli, Rispoli, 1937.

9 - J. Huizinga, Homo Ludens, Amsterdam, 1939, (trad. it., Homo Ludens, Torino, Einaudi, 1946).

10 - M. Griaule, Jeux et divertissements abyssins, Paris, 1935 ; Id., Jeux dogons, in «Travaux et Mémoires», Institut d’Ethnologie de Paris, n. XXXII, (1938).

11 - R. Caillois, Structure et classification des jeux, in «Diogène», n. 12 (1955), pp. 72-88 ; Id., Les jeux et les hommes, Paris, 1958 (trad. it., I Giochi e gli Uomini, la Maschera e la Verigine, Milano, Bompiani, 1981).

12 - A. M. Cirese, Un gioco cerimoniale del primo maggio in Sardegna, tentativo di analisi, in «Nuovo Bollettino Bibliografico Sardo», a. V, n. 26 (1960); Id., L’assegnazione collettiva delle sorti e la disponibilità limitata dei beni nel gioco Ozieri e le sue analogie vicino-orientali e balcaniche, in «Atti del Convegno di Studi Religiosi Sardi – Cagliari 24-26 maggio 1962», Padova, Cedam, 1963, pp. 175-194.

13 - V. Lanternari, Giochi e diversitmenti, in V. Grottanelli, Ethnologica, vol. III, Milano, 1965; Id., Il gioco e il suo valore culturale nelle società umane, in, Antropologia e imperialismo, Torino, Einaudi, 1974, pp. 190-268.

14 - G. Bateson, Steps to an Ecology of Mind, San Francisco, Chandler, 1972, (trad. it., Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi, 1976, pp. 216-235).

15 - G. Geertz, The Interpretation of Cultures, New York, Basic Books, 1973, (tad. it., Interpretazioni di culture, Blogna, Il Mulino, 1987 – vedi, Gioco profondo: note sul combattimento dei galli a Bali, pp. 399-449).

16 - D. Sabbatucci, Gioco d’azzardo rituale, in «Studi e Materiali di Storia delle Religioni», n. 33, (1964), pp. 23-85. G. Rholfs, L’antico gioco degli astragali, in «Lares», n. 30, (1964), pp. 1-14. A. Wade-Brown, Il gioco e le altre attività infantili, in V. Grottanelli, Una società guineana: gli Nzema, 2 voll., vol. I, Torino, Boringhieri, 1977-78, pp. 321-360. P. de Sanctis Ricciardone, Antropologia del gioco, Napoli, Liguori, 1994. D. Scafoglio, I numeri. Il gioco del lotto a Napoli, Napoli, L’ancora, 2000.

17 - Sui giochi della tradizione popolare della Sardegna si vedano i seguenti saggi: G. Deledda, Tradizioni popolari di Nuoro in Sardegna, in «Rivista di Tradizioni Popolari», vol. II, (1894-1895), pp. 401-444, le descrizioni dei giochi infantili alle pagine 402-409. D. Barella, Cantilene infantili in Sardegna centrale, in «A. S. T. P.», XIX, (1900), pp. 307-321; sono documentati i seguenti argomenti: 55 cantilene, 35 trastulli e 44 giocattoli. G. Mari, Per il “folklore” della Gallura. Ninne-nanne, filastrocche, giuochi, indovinelli, ecc., Bergamo, Ist. d’Arti Grafiche, 1900. M. Azara, Tradizioni popolari della Gallura, Roma, Edizioni Italiane, 1943; fornisce un elenco di giochi infantili alle pagine 103 e seguenti. M. Atzori, I giochi dei bambini in una comunità sarda, in «Uomo & Cultura», IV, (1971), pp. 165-211; Id., Giochi infantili a Capoterra, in «B. R. A. D. S.», n. 3, (1968-71), pp. 73-86.