T'amo pio bove

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Dove gli animali irrompono nei culti e nei miracoli

Il mondo vegetale e quello animale entrano a far parte nella declinazione di riti religiosi e, spesso, nei miracoli che trovano allocazione in realtà di piccoli e grandi santuari nel territorio italiano. Gli elementi naturali che le popolazioni dei luoghi conoscevano si inseriscono nella costruzione stessa dell'impianto sacro sia perché filiazione di culti precedenti sia perché i protagonisti del miracolo erano espressione di quel mondo agro-pastorale che si muoveva sul territorio ed aveva bisogno di credere attraverso la mediazione di aspetti conosciuti come lo erano le piante e gli animali utilizzati nel lavoro in campagna. La coppia di buoi che trascinava l’aratro per dissodare il terreno o trasportava grano sui carri e che si inginocchiava davanti ad una sacra apparizione è elemento ricorrente nella descrizione di alcuni miracoli, così come miracoloso era considerato lo scampato pericolo di morte se questi animali si salvavano dopo essere scivolati in una scarpata. Gli stessi armenti vengono raffigurati nel santuario, dipinti in quadri votivi o realizzati plasticamente vicino alla figura sacra in segno di infinita devozione. Nel maggio del 1480 si verificò a Canzano, in provincia di Teramo, la triplice apparizione della Madonna che chiedeva la fondazione di una chiesa in un determinato territorio. Era un periodo costellato di molte calamità politiche che rendevano poco confortanti i presagi per il futuro delle popolazioni di quella provincia. Era circa mezzogiorno e il contadino Floro di Giovanni stava arando il suo campo con l’aiuto dei buoi che tiravano l’aratro ma che, ad un certo punto, nonostante l’uso del pungolo, si arrestarono nei pressi di un alno (un pioppo bianco) e si inginocchiarono sulle zampe anteriori fissando lo sguardo tra le fronde. Floro spostò lo sguardo dai suoi animali alla chioma dell’albero e, inginocchiatosi, vide una splendida Signora, la Regina del cielo, che gli chiese di avvisare gli abitanti di Canzano circa il suo desiderio di vedere edificata una chiesa in suo onore nella località del Piano del Castellano. Il contadino corse in paese per raccontare la visione ma non fu creduto da nessuno, anzi fu deriso e sbeffeggiato anche dal Consiglio dei Reggenti che governava quella località. Il giorno dopo, tornato alle sue mansioni, l’apparizione mariana si manifestò alla stessa ora di nuovo mentre si inginocchiarono gli animali che egli guidava. Questa volta la Madonna posò i suoi piedi sulla terra e Floro le riferì che nessuno gli aveva creduto in paese, la Madonna scomparve in silenzio. Durante la terza apparizione, il giorno seguente lei chiese ancora al contadino di esporre le sue volontà e, in caso di risposta negativa, di prendere un cavallo molto violento, di proprietà della famiglia Falamesca De Montibus e di farsi guidare dall’animale senza paura. I canzanesi continuarono a sfotterlo e il proprietario del cavallo, dopo aver declinato la sua responsabilità su ciò che poteva accadere al cavaliere, assentì. Floro cavalcò senza angoscia e il cavallo, guidato da mano celeste, si recò mansueto al Piano del Castellano dove effettuò tre giri tracciando sul suolo i segni del recinto sacro sul quale, in seguito, fu eretta la chiesa dal popolo di Canzano esultante per il miracolo. L’animale concluse il suo compito con una genuflessione, toccando con il muso la terra quasi a baciarla e se ne tornò poi alla stalla dove ridivenne una bestia indomabile. La venerazione degli abitanti del luogo per la Madonna dell’Alno, oggi come allora è molto forte come numerosi sono i miracoli che vengono ricordati. Nel giugno 1614 dal petto della Santa immagine si irradiò una luce molto forte che sovrastava l'illuminazione delle candele, il fenomeno durò circa mezz'ora poi la luce iniziò a ridursi fino a consumarsi. La statua della venerata Madonna, vestita con abiti ricamati e con il capo decorato da capelli veri, come era uso nei secoli passati, è ornata da un arco alle sue spalle trapunto di verdi fronde a ricordo dell’apparizione arborea e, in primo piano, il contadino inginocchiato segue la coppia di buoi rappresentati ai piedi della Vergine. Davanti alla miracolosa raffigurazione plastica, durante la festa, viene tutt’ora posata una cassetta di vetro e legno al cui interno si mostrano donativi preziosi in oro e corallo, antiche e tradizionali espressioni di oreficeria popolare. La festa della Madonna della Neve si svolge in agosto a Bacugno di Posta in provincia di Rieti. L’odierna Bacugno deriva il proprio toponimo dalla antica dea Vacuna, il cui culto veniva praticato dalle prime genti sabine nella valle di Cittareale. La divinità era celebrata come protettrice della terra e invocata per la richiesta della pioggia e contro le calamità naturali che minacciavano i campi e ad essa venivano ogni anno offerte le primizie dei raccolti. Questa pratica devozionale è rimasta intatta fino ai nostri giorni: alla dea Vacuna si è sostituita la Vergine Maria, alla quale è dedicata la Chiesa dove viene venerata come Madonna della Neve. La prima fase cerimoniale si svolge nel pomeriggio precedente la festa ed è rappresentata dall’allestimento in piazza di un grosso covone di grano (lu mannocchiu), formato dalle migliori spighe del recente raccolto. La mattina della festa si inizia molto presto con il suono di tutte le campane e della banda cittadina. In una zona predisposta il toro (che non è tale ma un bell’esemplare di bovino maremmano dalle lunghe corna) viene vestito con poche cose apposte sulla schiena e sulle corna dell’animale propedeutiche al rituale previsto. Il corteo segue il passo lento dell’animale e si inerpica lungo i vicoli stretti e sconnessi del paese per poi sostare nella piccola piazza a dissetarsi alla fonte che era sempre servita all’abbeveraggio delle bestie, formata da una lunga e stretta vasca rettangolare. Dopo la prima messa solenne, parte il corteo e la processione con la statua della Madonna percorre le vie del paese. Al rientro nella Chiesa c’è la particolare cerimonia del “toro ossequioso”: l’animale festosamente addobbato con un manto rosso e con le corna infiocchettate è bene addestrato. Davanti al simulacro della Vergine esposto dal sacerdote sul sagrato, dopo la stretta di mano tra il sacerdote che attende e il conducente, il toro si inginocchia tre volte, fra il tripudio della folla. Nell’eccitazione generale, durante l’inginocchiamento, l’atmosfera si fa silenziosa e solenne, inizialmente per rispetto al rituale sacro, si agitano solo fazzoletti. Ma è solo per poco, poi il fragore degli applausi illumina la festa. C’è poi il trasporto a spalla dell’enorme covone di grano che viene offerto alla Madonna e deposto sul sagrato della Chiesa. Segue infine, da parte di ragazze in costume che si posizionano sul muretto a lato della chiesa, il lancio delle “ciammellette”, biscotti dolci, alla folla che acclama calorosamente. Molti esempi potrebbero essere proposti in relazione all’analisi del binomio uomo-animale, in questa occasione poniamo l’accento su alcune presenze degli animali nella statuaria, nei dipinti votivi e nella realtà reale nel vederli inginocchiati, relativi a rilevamenti effettuati da chi scrive. Se nelle due descrizioni offerte ho potuto indagare, oltre che sul campo (a Canzano nel 2014, a Bacugno nel 2002) anche su materiale bibliografico, dell’ultimo esempio posso solo limitare la mia ricerca (Leofara 2000) alla descrizione di un ex voto presente nella chiesa di questo piccolo paese frazione di Valle Castellana in provincia di Teramo e da me fotografato. La chiesa di Santa Maria Assunta risalente al 1700 ha subito, come tutta la zona limitrofa, danni a causa degli eventi tellurici che nel 2016 hanno colpito tanta parte dell’Abruzzo vicino alle Marche. Leofara conserva tracce della presenza longobarda visibile in un gafio balcone costruito con tecniche di quella popolazione ancora conservato sulla facciata di un’abitazione. Il quadro votivo, un olio su tela, non ha descrizioni che possano dare ulteriore notizia circa l’evento miracoloso che è ben descritto nella esposizione pittorica. Il riferimento temporale può essere datato dall’abito dell’offerente inginocchiato che indica una fattura risalente tra il XVII e il XVIII secolo. I piani pittorici delle tavolette dipinte sono rispettati ponendo in alto a sinistra San’Antonio da Padova, riconoscibile dal giglio e dal Bambino insieme con un piccolo gruppo di angeli che sottolinea ancora meglio la divisione tra sacro e terreno. Non è menzionata la Madonna Assunta alla quale è dedicata la piccola chiesa ma si può pensare che l’invocazione di protezione, nel momento del pericolo, si stata indirizzata al santo più caro all’uomo inginocchiato che potrebbe essere stato anche il preposto della chiesa. L’ambiente terreno è stato dipinto specularmente all’ambiente reale nel quale scarpate e zone pianeggianti si alternano fino ad arrivare a una zona più aspra. è proprio in una scarpata precipita una coppia di buoi dallo sguardo smarrito che si guardano l’un l’altro, quasi che il pittore avesse voluto descrivere la paura degli animali stessi nella caduta. Questa volta è l’uomo che si inginocchia davanti al divino; l’offerente è genuflesso con uno sguardo carico di richiesta ma anche di certezza nella preghiera e indica a chi osserva con una mano la caduta degli animali e con l’altra sant’Antonio che lo guarda quasi di sfuggita. Dalla declinazione dei gesti si può capire che il miracolo è avvenuto e che uomo e animali si siano salvati. Legami stretti di lavoro e di sussistenza sancivano, una volta, il rapporto uomo-animale nelle nostre comunità agropastorali; così presenti e importanti da far diventare protagonisti buoi, mucche, tori e cavalli nei diversi cicli cultuali religiosi rappresentandoli in stretto rapporto con il divino davanti al quale, spesso, si inginocchiavano come gli umani hanno sempre fatto.